Appello penale: la parte civile costituita può rischiare l’inammissibilità dell’appello se non c’è interesse
Questione
Quando un imputato viene assolto, la persona offesa che si sia costituita parte civile può proporre appello, ma non incondizionatamente.
Dispone l’articolo 576 del codice di procedura penale: La parte civile può proporre impugnazione contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l’azione civile e, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio. La parte civile può altresì proporre impugnazione contro la sentenza pronunciata a norma dell’articolo, quando ha consentito alla abbreviazione del rito.
- Lo stesso diritto compete al querelante condannato a norma dell’articolo 542.
Ciò che rileva dal contenuto dell’articolo 576 c.p.p. è che la parte civile deve avere interesse all’impugnazione.
La Cassazione
La questione è stata affrontata dalla Suprema Corte di Cassazione Penale, Sez. II, Ordinanza, 1 aprile 2019 (ud. 15 marzo 2019), n. 14080.
L’intervento delle Sezioni Unite del 2008 (Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, n. Guerra, Rv. 240815) non ha impedito – si legge nell’ordinanza – il persistere di un panorama giurisprudenziale tutt’altro che omogeneo, anche nelle più recenti pronunce: secondo un primo orientamento, «è inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione della parte civile avverso la sentenza di assoluzione con la formula ‘perché il fatto non costituisce reato’, non avendo tale sentenza efficacia di giudicato nel giudizio civile di danno»; secondo altro indirizzo, al contrario, «sussiste l’interesse della parte civile ad impugnare, ai fini civili, la sentenza di assoluzione dell’imputato con la formula “perché il fatto non costituisce reato” (per mancanza dell’elemento psicologico), in quanto, ai sensi dell’art. 652 cod. proc. pen., l’azione civile per il risarcimento del danno da fatto illecito è preclusa, oltre che nei casi in cui l’imputato sia stato assolto per non avere commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, anche quando egli sia stato assolto perché il fatto non costituisce reato, data l’identità di natura e di intensità dell’elemento psicologico rilevante ai fini penali e a quelli civili, con la conseguenza che un’eventuale pronuncia del giudice civile che dovesse affermare la sussistenza di tale elemento, escluso o messo in dubbio dalla sentenza penale irrevocabile, si porrebbe in contrasto con il principio dell’unità della funzione giurisdizionale»