Il matrimonio forzato: La Cassazione e la Protezione internazionale

La Suprema Corte di Cassazione, con il provvedimanto n. 12647/2022,  statuisce che si tratta di  violenza di genere se si esercita violenza fisica e psichica su una donna per costringerla a convolare a nozze

Il matrimonio imposto con la violenza fisica e psichica consumate nei confronti di una donna, costituisce violenza di genere, ipotesi che scaturisce la tutela della protezione internazionale. Secondo la giurisprudenza, allineata con la Convenzione di Istanbul, l’obbligo a contrarre matrimonio, con un determinato soggetto, non si può considerare come fatto di natura privata ma rientra nell’ambito della violenza di genere.

Il caso

Una donna albanese aveva chiesto il riconoscimento della protezione internazionale, invocando lo status di rifugiata, ed in via subordinata, il riconoscimento della protezione sussidiaria e il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari. La richiedente aveva raccontato di essere fuggita dall’Albania, per sfuggire ad un matrimonio con un uomo vent’anni più grande di lei, che la famiglia le stava imponendo, esercitando su di lei violenza. A nulla era servito il tentativo autonomo della donna di fuggire, in quanto era stata risoggiogata e sottoposta a violenze fisiche e psicologiche.

Così, aveva proceduto a richiedere ben due ordini di protezione rispettivamente contro il genitore e il promesso sposo, tuttavia ottenendo il secondo. Una volta rientrata a casa, però, era stata picchiata diverse volte dalla madre e minacciata di morte dal padre che deteneva illegalmente armi da fuoco.

La ragazza, per sottrarsi al matrimonio forzato, si era rifugiata in un convento di suore che l’hanno aiutata a fuggire in Italia il giorno prima della data fissata per le nozze.

Il Tribunale territoriale

Il Tribunale poi,  ha considerato realistica la vicenda della donna, sostenuta dalla documentazione che la stessa era riuscita a riunire e a presentare nel suo ricorso, ma nonostante ciò, il ricorso era stato rigettato.

La Cassazione

Pertanto la donna presentava in Cassazione le proprie doglianze.

Gli Ermellini consideravano pertanto fondato il ricorso della ragazza, cassando così il decreto impugnato in quanto palesemente affetto da errori di diritto.

In primis errata la valutazione secondo la quale la Corte Territoriale stabiliva che fosse esclusa ogni considerazione sullo status di rifugiata, perché non richiesta con il ricorso introduttivo.

Secondo la giurisprudenza, invece, resta compito del giudice l’obbligo di valutare se ricorrano le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato.

Errata poi la considerazione che si trattasse di un evento endofamiliare di stampo privatistico.

La giurisprudenza della Corte di Piazza Cavour già di recente aveva statuito in casi analoghi, che il matrimonio forzato e la reiterata violenza fisica e psichica integrano una violenza di genere.

I Supremi Giudici hanno ricordato come il matrimonio imposto al quale si sommano atti di violenza fisica e psichica, costituisca un motivo di riconoscimento della protezione internazionale, mentre è possibile discutere su quale forma di protezione vada riservata al richiedente asilo.

I giudici di merito, escludendo il riconoscimento della protezione internazionale, hanno sbagliato a considerare decisivo il provvedimento temporaneo assunto dallo Stato di origine della donna, senza valutare l’escalation e l’evoluzione ancor più grave e pericolosa assunta dalla vicenda, che costringeva la dona addirittura ab fuggire per l’Italia il giorno precedente alle nozze.

I giudici di legittimità hanno affermato che sia indiscutibile che la ricorrente sia stata vittima di violenza di genere e che il Tribunale l’abbia ricondotta in modo erroneo a una semplice vicenda endofamilare.

La Suprema Corte ha accolto il primo motivo di ricorso rinviando a nuova decisione alla luce delle  fonti come ad esempio il rapporto annuale 2017/2018 di Amnesty International sull’inadeguatezza delle misure di protezione delle donne dalla violenza domestica.

Al giudice del rinvio l’onere di riesaminare ed applicare i relativi principi di diritto, al fine di stabilire “se, in caso di rientro nel Paese di origine, esista la certezza, la probabilità, o anche l’unico rischio, per la richiedente asilo, di subire nuovamente atti di violenza di genere, per aver opposto, nell’esercizio della sua fondamentale libertà di autodeterminazione, un rifiuto ad un matrimonio combinato, subendo, di conseguenza, atti di violenza fisica e psichica.”