Diffamazione: non serve il nome se la persona è facilmente individuabile

Diffamazione: sussiste se l’espressione lesiva riporta elementi tali da permettere l’identificazione della persona

La sentenza

Offendere le persone su Facebook evitando di pronunciare il nome può comunque costituire diffamazione se la persona verso cui è rivolta l’offesa può essere comunque individuata.

Di ciò si è occupata la Suprema Corte di Cassazione, sez. V penale, stabilendo con sentenza n.10762 del 10/12/2021 che: Sussiste il reato di diffamazione anche quando l’espressione lesiva non contiene indicazioni nominative della persona offesa ma riporta elementi tali da permetterne l’identificazione

Secondo la Corte infatti, Non osta all’integrazione del reato di diffamazione l’assenza di indicazione nominativa del soggetto la cui reputazione è lesa, qualora lo stesso sia individuabile, sia pure da parte di un numero limitato di persone, attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e la portata dell’offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali.

Il caso affrontato dalla Corte riguardava imputati che avevano pubblicato sul loro profilo Facebook post contenenti frasi ingiuriose nei confronti di un avvocato senza però indicarne il nome; tuttavia, essendo state rivolte alla persona offesa, affetta da nanismo, frasi denigratorie riferite a tale caratteristica fisica, unitamente alla sua professione, facevano ben comprendere a chi fossero destinate tali ingiurie, quantomeno da parte di coloro che, come amici e conoscenti, fossero in grado di riconoscerla.

Il Caso

Così argomenta la Corte in Sentenza: […] Ciò in ragione di una serie di elementi individualizzanti, che la corte territoriale esamina specificamente (il “nanismo” della persona offesa, oggetto di commenti denigratori; il riferimento, sempre in termini sprezzanti, alla zia della Z., indicata come “spazzina”, in ragione della sua attività di addetta alle pulizie presso l’esercizio commerciale dove lavoravano all’epoca dei fatti i due imputati; l’ulteriore riferimento alla lettera inviata dalla destinataria delle offese, “essendo pacifico che, nel mese di (OMISSIS), l’avv. Z. nella sua veste professionale aveva indirizzato ai due imputati una lettera nella vertenza che li contrapponeva alla sua assistita C.”; infine, il riferimento “alla mancata possibilità di parlare ed alla delusione manifestata dalla destinataria delle offese”, attraverso frasi sempre offensive, riconducibili “all’incontro tenutosi sempre nel mese di (OMISSIS) presso (OMISSIS) con i dirigenti/responsabili di tale esercizio commerciale ed i dipendenti coinvolti nella ricordata querelle, incontro cui l’avv. Z. non aveva avuto la facoltà di partecipare, come avrebbe voluto”), in relazione ai quali i rilievi difensivi appaiono versati in fatto.

Sicché appare dotata di intrinseca coerenza logica la conclusione cui giunge la corte territoriale nell’affermare, che, anche in considerazione dello specifico contesto territoriale in cui operavano gli imputati e la persona offesa, (OMISSIS), un centro urbano certo non di grandi dimensioni, la combinazione degli elementi innanzi evidenziati consentisse “di individuare nell’avv. Z.G. la destinataria delle offese, quantomeno da parte di coloro che in qualità di dipendenti/collaboratori dell’esercizio (OMISSIS) fossero stati coinvolti a vario titolo nella controversia indicata, oltre che di coloro che come amici o conoscenti o familiari della persona offesa”, fossero in grado di riconoscerla.