Ex coniuge: diritto di credito sui beni dell’azienda dell’altro coniuge

All’ ex coniuge spetta un diritto di credito pari al 50% del valore dell’azienda, riconducibile all’altro coniuge quale complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale.

La questione affrontata dalla Cassazione a Sezioni Unite è tra quelle maggiormente dibattute  considerando che le soluzioni fornite sinora della giurisprudenza risultavano  spesso prive di una adeguata ponderazione e vedano raggiunti esiti evidentemente contrapposti, senza che lo sviluppo cronologico delle decisioni potesse far propendere per una evoluzione consapevole della giurisprudenza verso l’una o l’altra soluzione

ex coniuge

La sentenza n. 15889 del 2022 della Cassazione Civile Sezioni Unite

La Cass. civ., sez. unite, sent., 17 maggio 2022, n. 15889 affronta la questione relativa alla natura del diritto vantato dal coniuge non titolare di azienda sui beni della stessa, ex art. 178 c.c.

Sulla natura giuridica della c.d. comunione de residuo in dottrina e in giurisprudenza si contendono il campo due tesi.

La prima sostiene la natura reale l’altra quella obbligatoria.

La Cassazione predilige la tesi della natura creditizia del diritto sui beni oggetto della comunione de residuo,

Le argomentazioni in favore della natura obbligatoria

La Corte non ignora come il principale e più solido argomento addotto dalla tesi favorevole alla natura reale sia quello legato alla formulazione letterale degli artt. 177 e 178 c.c., ma proprio la circostanza che in quest’ultima norma il legislatore abbia utilizzato il verbo “considerare”, piuttosto che “essere”, denota un’ambiguità semantica.

Tale ambiguità potrebbe essere ricondotta ad una precisa volontà di sottoporre la comunione de residuo, e specialmente quella di impresa, ad un regime normativo diverso da quello ordinario che invece, pur con le dovute differenze quanto al potere di gestione e disposizione, connota i beni destinati a ricadere immediatamente in comunione legale.

La soluzione che la Corte afferma, e cioè la natura creditizia del diritto sui beni oggetto della comunione de residuo, proprio in ragione della segnalata non univocità del testo normativo, appare altresì rispettosa del principio più volte riaffermato (cfr. Cass. S.U. n. 8230/2019) secondo cui il fondamentale canone di cui all’art. 12 preleggi, comma 1, impone all’interprete di attribuire alla legge il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione, costituendo la lettera della norma, infatti, un limite invalicabile dell’interpretazione, che è uno strumento percettivo e recettivo e non anche correttivo o sostitutivo della voluntas legis.

Ad avviso della Corte la questione oggetto dell’ordinanza di rimessione deve quindi essere decisa in favore della tesi della natura creditizia del diritto nascente dalla comunione de residuo, riconoscendo un diritto di compartecipazione sul piano appunto creditizio, pari alla metà dell’ammontare del denaro o dei frutti oggetto di comunione de residuo, ovvero del controvalore dei beni aziendali e degli eventuali incrementi, al netto delle passività.

Il principio di diritto

Nel caso di impresa riconducibile ad uno solo dei coniugi costituita dopo il matrimonio, e ricadente nella cd. comunione de residuo, al momento dello scioglimento della comunione legale, all’altro coniuge spetta un diritto di credito pari al 50% del valore dell’azienda, quale complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale, ed al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data“.