Omicidio: la teoria del c.d. ‘dolo colpito a mezza via dall’errore’

Omicidio: oltre al dolo, alla colpa e alla preterintenzione esiste la teoria del ‘dolo colpito a mezza via dall’errore’

Questione e definizione

Quando si deve valutare la responsabilità di un soggetto agente, è fondamentale tenere conto dell’elemento psicologico.

La giurisprudenza ha formulato anche l’ipotesi di una condizione psicologica particolare costituita dal “dolo colpito a mezza via dall’errore.”

La definizione di tale tipologia di elemento può ricavarsi dall’argomentazione della difesa di un imputato condannato per omicidio volontario in quanto, aveva colpito più volte la vittima, la quale non morì subito, ma solo in seguito alle emissioni di monossido di carbonio che si erano scatenante nell’incendio della vettura posto in essere per occultare il cadavere: quando la condotta dell’agente sia consapevolmente diretta ad uccidere, ma l’evento non si verifichi per tale condotta ma per altra, successiva, consumata dallo stesso agente nella convinzione che l’evento morte si sia invece già verificato, l’errore in itinere del dolo comporta che l’omicidio non può essere imputato a tale titolo ma di colpa e la condotta precedente, quella per la quale l’agente ebbe ad erroneamente ritenere di aver raggiunto lo scopo voluto della morte della vittima, a titolo di tentato omicidio in concorso reale con l’ipotesi colposa; la premessa per evidenziare che, in ipotesi siffatte, ai fini di una corretta qualificazione dei fatti di causa, è fondamentale ed imprescindibile valutare l’elemento psicologico del reato; il caso che ci occupa è del tutto analogo a quello giudicato dalla corte di legittimità nel 2003; l’imputato ha confessato di aver colpito la vittima, portata in luogo isolato in un bosco, con un coltello tipo “pattada” e, pensando di averne cagionato la morte, di averne occultato il cadavere, per errore ritenuto tale, nel bagagliaio dell’autovettura dandovi fuoco; le risultanze dell’autopsia confermano la versione dell’imputato e non permettono di affermare con certezza che il M. non si sia accorto della vitalità della D.D. al momento in cui cercò di occultarne il corpo; il M., rendendo la sua versione confessoria, ha dichiarato che sua intenzione era quella di cagionare lesioni e non già di uccidere, circostanza questa che conferma la mancanza della sua volontà omicida per combustione; il M., dopo la prima azione violenta, ritenne che la vittima fosse ormai priva di vita, e questa, la vittima, non dava alcun segno evidente di vitalità; come riferito dall’imputato, essa perdeva sangue, non si muoveva più e non vi fu un suo controllo sulla eventuale vitalità della povera donna, che comunque appariva inanimata.

La sentenza

L’argomentazione della difesa in riferimento alla teoria del “dolo colpito a mezza via dall’errore” è stata rigettata dalla Cassazione, che ha quindi confermato l’omicidio volontario per l’imputato e disatteso l’ipotesi difensiva che voleva fosse riconosciuta l’ipotesi dell’omicidio colposo in concorso con il tentato omicidio.

Con la Sentenza n. 15774 del 17/11/2015 la Suprema Corte di Cassazione, sez. I penale, ha stabilito che: Non può trovare applicazione, nella specie, la teoria del c.d. ‘dolo colpito a mezza via dall’errore’, atteso che l’imputato era consapevole che la vittima caricata nel bagaglio fosse ancora in vita, giacché, per un verso, la stessa non era stata affatto accoltellata ripetutamente e giacché poi, per stessa ammissione del prevenuto, la donna era stata trasportata dal posto guida, dove si trovava, all’altezza del bagagliaio e qui caricata, non prima però di essere stata privata di una collana, di un orologio, di un “bracciale” e di vari anelli, circostanze queste per le quali non può ragionevolmente sostenersi che l’imputato non si avvide della vitalità del corpo che trasportava a mano e che meticolosamente aveva spogliato di ogni avere.