Una Società chiede l’annullamento del provvedimento del Comune di diniego di ampliamento dell’esercizio commerciale di somministrazione di alimenti e bevande nello spazio esterno al Bar.
Il Tar Lazio con sentenza del 12 aprile 2022 n. 4393 ha chiarito che nel caso in cui il locale pubblico si trova su un’area condominiale, il Bar, per poter occupare il suolo antistante, deve ottenere il premesso dell’assemblea del Condominio.
Il caso
Una società impugna davanti al TAR il provvedimento di diniego di ampliamento dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande, con riferimento allo spazio esterno al Bar, sostenendo che non sarebbe necessario che l’area condominiale sulla quale viene esercitata l’attività di somministrazione sia di suo uso esclusivo, e tantomeno che occorra il consenso del Condominio all’utilizzo dell’area medesima, potendo essa esercitare, in qualità di condomino, un uso più intenso della cosa comune come previsto e consentito dall’art. 1102 c.c.
In realtà, la società ricorrente non è in possesso dei requisiti oggettivi richiesti dal Regolamento comunale sulla somministrazione di alimenti e bevande, i quali dispongono che:
- l’attività deve essere svolta nel rispetto della destinazione d’uso dei locali/superfici :
- l’operatore commerciale deve altresì comprovare la disponibilità giuridica e dare conto in sede di conformazione mediante Scia;
A ciò deve aggiungersi il divieto di alterare la destinazione della cosa e il divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso.
La decisione del TAR
Il TAR rigetta il ricorso della Società in quanto è evidente il carattere abusivo dell’attività esercitata dalla ricorrente, la quale, consapevole che trattasi di area condominiale, non ha mai comprovato il titolo di disponibilità della res.
Il provvedimento impugnato poi riguarda esclusivamente l’area oggetto di ampliamento e non la complessiva attività.
Per il TAR la ricorrente non ha provato che l’attività commerciale avviata in via permanente sulla superficie condominiale sia compatibile con la destinazione d’uso della medesima, quale risultante dal regolamento contrattuale, di talché neppure è possibile inferire l’esistenza del titolo di disponibilità della res e giammai un uso meramente “più intenso” della cosa comune (art. 1102 c.c.) in luogo di quello “esclusivo”.