Sparlare del capo su whatsapp non provoca il licenziamento

Sparlare su WhatsApp, in sede non lavorativa dei capi della società per cui si lavora non ha conseguenze disciplinari

La Cassazione respinge la richiesta di una società di vigilanza privata, che mirava a farsi riconoscere il diritto sanzionatorio nei confronti di un dipendente tacciato di aver intrattenuto conversazioni sulle chat che parlavano male della condotta dei capi.

Un uomo aveva accusato e pesantemente criticato il proprio vertice in una chat con una ex collega. Tuttavia già la a Corte d’appello di Trieste aveva poi ritenuto che la conversazione “non avesse alcun rilievo disciplinare”

Nessuna sanzione per il dipendente

La Suprema Corte ha deciso che porre delle lamentele e argomentarle con un collega, anche se espresse tramite giudizi pesanti e potenzialmente lesivi dell’immagine del presidente e degli amministratori delegati della società “non è una condotta in sè idonea a violare i doveri di correttezza e buona fede”.

Scoperte le chat

La scoperta di queste chat private erano rimaste su un pc in ufficio del dipendente la società aveva inoltrato la richiesta di provvedimenti per aver “criticato e denigrato” i capi. Insieme a questa singolare richiesta venivano poi avanzate altre contestazioni.

In giudizio per una chat

Tuttavia, come accennato, già dalla Corte d’appello di Trieste si rilevava che l’uomo avesse agito “con apprezzamento di merito non censurabile”. Pertanto la stessa aveva statuito che “tali dichiarazioni dovevano essere valutate specificamente nel contesto in cui erano state pronunciate, vale a dire in una conversazione extralavorativa e del tutto privata senza alcun contatto diretto con altri colleghi di lavoro”. In conclusione la Corte di Cassazione con la sentenza n.11665 della Sezione Lavoro, sottolinea che “Premesso che non integra una condotta in sè idonea a violare i doveri di correttezza e buona fede nello svolgimento del rapporto l’aver espresso in una conversazione privata e fra privati, giudizi e valutazioni, seppur di contenuto discutibile, ove, come nel caso in esame, sia stato escluso il fatto che tali dichiarazioni fossero anche solo ipoteticamente finalizzate a una ulteriore diffusione, resta irrilevante lo strumento di comunicazione utilizzato”. Inoltre si conclude ribadendo che “anche sotto il profilo soggettivo le stesse espressioni erano circoscritte a un ambito totalmente estraneo all’ambiente di lavoro”.