L’opposizione a decreto ingiuntivo su canoni di locazione si propone con ricorso e non con citazione in quanto si applica il rito del lavoro
Il rito applicabile al rapporto locatizio è il rito del lavoro, come più volte confermato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità.
In caso di notifica di ricorso per ingiunzione di pagamento di canoni di locazione, l’eventuale opposizione va proposta con ricorso e non anche con atto di citazione.
Nel caso in cui l’opposizione venga proposta con atto di citazione, il giudice investito della questione ha l’onere di verificare che l’opposizione sia stata proposta nei termini, facendo riferimento non già alla notifica dell’atto di citazione ma al momento dell’iscrizione a ruolo del procedimento.
Ciò significa che, prima di dover procedere alla modifica del rito, il giudice ha l’onere di verificare che l’atto di citazione erroneamente notificato sia stato iscritto nel termine di quaranta giorni decorrenti dalla ricezione della notifica del decreto ingiuntivo.
Nel caso in cui il procedimento sia stato iscritto a ruolo oltre il termine indicato, si dovrà procedere ad una declaratoria di improcebilità dell’opposizione.
La decisione della Corte Costituzionale
La questione è stata posta anche al vaglio della Corte Costituzionale la quale, con sentenza n. 45 del 7 febbraio 2018, ha ritenuto legittime le preclusioni processuali sopra indicate.
La Corte Costituzionale ha già avuto, peraltro, anche occasione di affermare che la diversa disciplina dell’opposizione a decreto ingiuntivo nel rito ordinario e in quello del lavoro (applicabile anche alle controversie in materia di locazione) «è giustificata […], essendo finalizzata alla concentrazione della trattazione ed alla immediatezza della pronuncia» (ordinanza n. 152 del 2000, che richiama la precedente ordinanza n. 936 del 1988) e che «il principio della legale conoscenza delle norme […] non può non valere quando la parte si avvalga, come nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, del necessario patrocinio del difensore, ben in grado di desumere la causa petendi dagli atti notificati alla parte» (ordinanza n. 152 del 2000, che richiama le sentenze n. 347 del 1987 e n. 61 del 1980).