Quando si può parlare di condotta discriminatoria per ragioni di sesso nell’accesso ad un bene immobile offerto in locazione nei confronti di transgender?
Il caso
La querelle nasce dalla denuncia di discriminazione descritta da una persona “transgender” come attuata nei suoi confronti nel momento in cui quest’ultima si accingeva a stipulare un contratto di locazione.
Citata in giudizio la Società proprietaria dell’immobile al fine di ottenere il risarcimento del danno per condotta discriminatoria, la locatrice contesta di aver discriminato l’attrice, avendo posto come requisito per la locazione la qualità di studente del conduttore.
La soluzione della vicenda
La ricorrente denuncia la condotta discriminatoria attuata nei suoi confronti facendo richiamo ai principi dettati dalla Direttiva 2004/113/CE, attuata nel nostro ordinamento con il D.Lgs. n. 196 del 2007, nell’accesso ad un bene immobile, per ragioni di sesso, in quanto persona “transgender”.
La Cassazione evidenzia che i termini “sesso” e “genere” hanno significati differenti, dovendo il primo essere riferito a una condizione biologica (l’essere uomo o donna) e il secondo a una rappresentazione psicologico-simbolica ovvero culturale dell’identità maschile o femminile (il divenire maschio o femmina). Si tratta, dunque, di due aspetti dell’identità sessuale che, in quanto distinti, possono divergere ed entrare in tensione proprio nelle persone transessuali.
Nella specie, si chiede l’applicazione a favore di persona “transgender” di normativa introdotta, nel 2007, in attuazione di direttiva comunitaria del 2004, per disciplinare la tutela contro condotte discriminatorie sulla base del sesso, nella specie tra uomini e donne, nell’accesso di beni e servizi.
La sfera di applicazione della direttiva non può essere ridotta soltanto alle discriminazioni derivanti dall’appartenenza all’uno o all’altro sesso, potendo anche applicarsi alle discriminazioni che hanno origine nel mutamento del sesso dell’interessato, in quanto siffatte discriminazioni si basano intrinsecamente, se non esclusivamente, su di esso.
Deve dunque ritenersi che la disciplina antidiscriminatoria per ragioni di sesso nell’accesso a beni e servizi vada estesa all’ipotesi in cui il soggetto che denuncia la discriminazione sia persona “transgender”, in quanto l’identità di genere è compresa in quella di sesso tutelato dalla Direttiva CE e dalla normativa italiana di attuazione.
Quando si verifica una discriminazione diretta?
Occorre che la condotta antidiscriminatoria abbia dato luogo a un trattamento svantaggioso per una persona.
In particolare si verifica quando, sulla base di uno dei motivi vietati, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una posizione analoga.
La condotta della società, che proponeva in alternativa un altro immobile, comunque diverso da quello desiderato , formulata all’attrice pochi giorni prima della consegna era da ritenersi una offerta vantaggiosa dettata dalla ragione di esigere la condizione di studente da parte del conduttore.
Il profilo soggettivo (dolo o colpa) nell’illecito discriminatorio non rileva, anche per il solo fatto della previsione di una risarcibilità del danno in presenza di una “discriminazione indiretta” – fattispecie ove una disposizione, un criterio, una prassi, di apparente neutralità, creano, in realtà, una discriminazione – cosicché devono ritenersi illeciti discriminatori tutte quelle condotte che, pur se prive delle caratteristiche di rimproverabilità e colpevolezza, siano produttive di una situazione di svantaggio per quei soggetti recanti determinate caratteristiche personali.
L’attrice era una professionista non una studente pertanto la Corte ha ritenuto di rigettare la richiesta di risarcimento ritenendo insussistente la condotta discriminatoria e l’offerta della Società locatrice di immobile alternativo sicuramente vantaggiosa.
Pertanto la ricostruzione operata in primo grado dal Tribunale, che aveva ritenuto il diritto del transessuale al risarcimento di 10 mila euro come ristoro economico, riformata in appello viene definitivamente smentita dalla Cassazione.