In caso di obbligatorietà del vaccino è prevista una tutela di natura indennitaria che può cumularsi con una tutela di natura risarcitoria
L’obbligatorietà del vaccino postula la sussistenza di una tutela di natura indennitaria, la quale deve essere tuttavia tenuta ben distinta da una tutela di natura risarcitoria.
L’indennizzo sorge, senza necessità di alcuna prova, nel caso in cui vi sia una menomazione irreversibile causata dalla vaccinazione, mentre la tutela risarcitoria è riconosciuta solamente laddove si provi l’esistenza di un danno alla salute a seguito della somministrazione vaccinali.
Per ciò che attiene al vaccino anti COVID 19, ad oggi, viene qualificata come vaccinazione obbligatoria solamente quella over 50 e quella riservata agli esercenti le professioni sanitarie.
In questo caso viene espressamente riconosciuta una tutela indennitaria, rientrando tale fattispecie nell’alveo dell’art. 1 della Legge n. 210 del 25 febbraio 1992, il quale statuisce che “chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge”.
L’indennizzo da vaccinazione obbligatoria trova la sua tutela nella Costituzione, segnatamente all’art. 2 ed all’art. 38.
La richiesta di indennizzo è presentata dall’interessato alla ASL di residenza, la quale svolge l’istruttoria, verificando la completezza della documentazione allegata e il possesso dei requisiti previsti dalla legge.
Al termine della fase istruttoria, l’Azienda sanitaria invia il fascicolo alla Commissione medica ospedaliera (CMO) competente, che deve convocare a visita l’interessato. È compito della CMO accertare l’esistenza del nesso causale tra l’infermità ed il vaccino, qualificare il grado di infermità e la tempestività di presentazione della domanda.
Il verbale della CMO è notificato al richiedente, che ha 30 giorni di tempo dalla notifica per presentare eventuale ricorso contro la decisione al Ministero della Salute.