Concorsi: è discriminante l’esclusione dal concorso per allievi finanzieri di una candidata in stato di gravidanza
Concorsi: Questione
Nonostante gli sforzi continui degli Stati e dei Governi per superare le discriminazioni verso le donne e consentire loro la parità di trattamento rispetto agli uomini, una donna in gravidanza può trovarsi ancora a subire ingiuste esclusioni.
È quanto accaduto ad una donna che si è vista escludere dal concorso per allievi finanzieri perché in stato di gravidanza
La vicenda, giunta al TAR e successivamente al Consiglio di Stato, si è conclusa con la declaratoria di illegittimità dell’esclusione dal concorso, contrastando tale esclusione sia con il quadro normativo di riferimento (art. 3 DM 17.05.2000 n. 155 e articolo 2139, comma 1-bis del Codice militare) sia con i principi elaborati sul punto dalla giurisprudenza, entrambi volti ad evitare ogni forma di discriminazione diretta fondata sul sesso e a garantire la parità di trattamento tra uomo e donna ex art. 3 della Costituzione anche con riferimento all’accesso al lavoro.
La Sentenza
Il Consiglio di Stato, sez. II, così argomenta nella sentenza n.8578 del 24/12/2021: […] 25. Sul piano sovranazionale, viene in rilievo, in primo luogo, la Convenzione ONU sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva dall’Italia con L. 14.03.1985 n. 132 che, all’art. 11 sancisce “Gli Stati parte si impegnano a prendere ogni misura adeguata al fine di eliminare la discriminazione nei confronti della donna nel campo dell’impiego ed assicurare, sulla base della parità tra uomo e donna, gli stessi diritti”, e “per prevenire la discriminazione nei confronti delle donne a causa del loro matrimonio o della loro maternità e garantire il loro diritto effettivo al lavoro, gli Stati parte si impegnano a prendere misure appropriate tendenti a: (…) d) assicurare una protezione speciale alle donne incinte per le quali è stato dimostrato che il lavoro è nocivo”.
25.1 In ambito comunitario, l’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea dispone che “La parità fra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione”, mentre l’art. 157 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede, al comma 1, che “Ciascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore” e, al comma 3, che “Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adottano misure che assicurino l’applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, ivi compreso il principio della parità delle retribuzioni per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.”
[…] 25.3 La Corte di Giustizia, nel qualificare come discriminazione diretta fondata sul sesso tanto il rifiuto di assumere una donna a causa del suo stato di gravidanza quanto il licenziamento di una lavoratrice per la medesima ragione […], ha avuto cura di distinguere il caso della lavoratrice che si trova in stato di gravidanza da quella che versi in stato di malattia che sopraggiunga dopo il congedo di maternità, osservando che “Un tale stato patologico rientra quindi nel regime generale applicabile alle ipotesi di malattia. Infatti i lavoratori di sesso femminile e maschile sono del pari esposti alle malattie. Anche se è vero che taluni disturbi sono specifici dell’uno o dell’altro sesso, l’unico problema è quindi quello di sapere se una donna viene licenziata per le assenze dovute a malattia nelle stesse condizioni di un uomo; se per entrambi valgono le stesse condizioni non vi è discriminazione diretta in ragione del sesso” (sent. Handels- og Kontorfunktionaerernes Forbund, C-179/88, punti 16 e 17).
[…] 26. Sul piano costituzionale rilevano non solo gli artt. 3 e 51 Cost , richiamati anche dal giudice di primo grado, ma anche l’art. 4 Cost. (“la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”), l’art. 31 Cost. che qualifica compito della Repubblica l’agevolazione della formazione della famiglia e la protezione della maternità, e l’art. 37 Cost. che impone la fissazione di condizioni di lavoro per la donna compatibili con l’adempimento della sua funzione familiare.
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26.1 Il legislatore ordinario, dal canto suo, ha dato attuazione ai precetti costituzionali, statuendo che “la parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell’occupazione, del lavoro e della retribuzione” (c.d. Codice delle pari opportunità tra uomo e donna).
26.2 I principi sottesi al quadro normativo sopra richiamato, sono stati puntualizzati e ribaditi dalla Corte costituzionale, la quale ha sancito che “il principio posto dall’art. 37 – collegato al principio di uguaglianza – impone alla legge di impedire che possano, dalla maternità e dagli impegni connessi alla cura del bambino, derivare conseguenze negative e discriminatorie. Entrambe queste esigenze impongono, per lo stato di gravidanza e puerperio, di adottare misure legislative dirette non soltanto alla conservazione dell’impiego, ma anche ad evitare che nel relativo periodo di tempo intervengano, in relazione al rapporto di lavoro, comportamenti che possano turbare ingiustificatamente la condizione della donna ed alterare il suo equilibrio psico-fisico, con serie ripercussioni sulla gestazione o, successivamente, sullo sviluppo del bambino “(sentenza n. 61 del 1991; cfr. anche 12 settembre 1995 n. 423, la quale ha precisato che il rilievo costituzionale del valore rappresentato dal ruolo di madre della lavoratrice comporta che, nel rapporto di lavoro, non possono frapporsi né ostacoli, né remore, alla gravidanza e alla cura del bambino nel periodo di puerperio).
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- L’impianto normativo, sia nazionale che sovranazionale, è univoco nell’escludere che lo stato di gravidanza possa rappresentare un ostacolo nell’accesso al lavoro o fonte di discriminazione nell’ambito del rapporto lavorativo. Per tale ragione, il DM 17.05.2000 n. 155 (Regolamento recante norme per l’accertamento dell’idoneità al servizio nella Guardia di finanza) non può che essere letto alla luce delle coordinate sopra richiamate, in quanto volto a garantire l’uguaglianza sostanziale dei candidati che aspirano all’arruolamento in Guardia di Finanza e ad evitare che la gravidanza, di per sé, possa costituire una causa di esclusione dal concorso, e, quindi, fonte di una discriminazione diretta fondata sul sesso, la cui eliminazione si impone come un obiettivo multilivello.
27.1 L’uguaglianza sostanziale tra i candidati, senza distinzione di genere, sarebbe frustrata in via definitiva se lo stato di gravidanza si trasformasse da impedimento temporaneo all’accertamento a causa definitiva di esclusione. Giova, sotto tale profilo, richiamare i principi espressi dalla Corte di Giustizia, secondo cui il rifiuto d’assunzione per motivo di gravidanza può opporsi solo alle donne e rappresenta, quindi, una discriminazione diretta a motivo del sesso (sent. 8 novembre 1990, Dekker, C-177/88, punto 12).