Un cittadino ha perso la possibilità di cambiare le lire in suo possesso in euro per decorso del termine di 10 anni, nonostante la dichiarata pronuncia di incostituzionalità della norma che aveva ridotto il termine per il cambio.
Il caso della sentenza n. 3592 del 2022 della Cassazione
Un cittadino ha agito in giudizio nei confronti della Banca e dello Stato italiano per far valere il diritto al cambio in Euro di alcune Lire in suo possesso: esattamente 110.300.00.
In base all’art. 3 della L. 97/1996 il termine per poter cambiare le Lire in Euro era fissato al 28 febbraio 2012, trascorsi cioè 10 anni dalla cessazione del valore legale di quella moneta.
Tuttavia, con D.L. n. 201 del 2011, convertito in L. n. 214 del 2011, il suddetto termine è stato anticipato al 6 dicembre 2011, data di entrata in vigore della legge che lo ha introdotto.
Il ricorrente afferma di essersi recato in Banca pochi giorni dopo l’entrata in vigore della legge che ha abbreviato il termine, per chiedere la conversione in Euro di quelle sue Lire, e di essersi visto rifiutare il cambio in ragione del fatto che il termine era, per l’appunto, scaduto.
Tuttavia, poiché la Corte Costituzionale, con sentenza 216 del 2015, ha dichiarato costituzionalmente illegittima l’abbreviazione del termine per convertire le monete, il ricorrente, con istanza formale del 28 gennaio del 2016, ha diffidato la Banca ad effettuare il cambio, ricevendone diniego poiché, in base alle istruzioni ricevute dal Ministero dell’economia, occorreva dimostrare di aver chiesto il cambio delle monete nel periodo tra il 6 dicembre 2011, ossia il nuovo ed incostituzionale termine, ed il 28 febbraio 2012, ossia il termine originario.
Di qui l’azione giudiziaria.
La decisione della Cassazione
La Cassazione rigetta il ricorso ma sulla base di motivazioni diverse da quelle della Corte d’Appello.
La Corte d’Appello aveva infatti argomentato che: “la dichiarazione di incostituzionalità dell’abbreviazione del termine ha fatto rivivere il termine precedente” e dunque ha ritenuto “ corretta la tesi della banca, secondo cui occorreva dimostrare che entro quel termine (28 febbraio 2012), ossia quello originario e tornato in vigore dopo la pronuncia della Corte Costituzionale, era stata formalmente chiesta la conversione delle banconote”.
Per la Cassazione invece, non si può sostenere che in caso di dichiarazione di illegittimità, la norma precedente a quella dichiarata incostituzionale, rivive sempre a cagione della retroattività della dichiarazione di incostituzionalità.
L’efficacia retroattiva della dichiarazione di incostituzionalità comporta solo che la norma dichiarata illegittima viene meno sin dall’origine, ma non significa che conseguentemente quella precedente rivive pienamente.
Pertanto, per stabilire se la precedente disciplina del termine (il 28 febbraio 2012) sia divenuta nuovamente efficace, dopo la dichiarazione di incostituzionalità della norma (L. n. 201 del 2011) che l’aveva modificata, portando il termine al 31.12.2011, serve stabilire se si sia trattato di una mera abrogazione o di una modifica dal “contenuto sostitutivo”.
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Nella fattispecie, quando è entrato in vigore l’ Euro, la Lira valeva, per due mesi ancora, come bene di pagamento, e venuto meno tale “valore”, dopo i due mesi, ha mantenuto un diverso “valore” di scambio, grazie alla L. n. 96 del 1997 fino al 28 febbraio del 2012, con la conseguenza che i possessori delle Lire avevano il potere di scambiarle con Euro fino a quella data.
Quando, dopo due mesi dall’entrata in vigore dell’Euro, le Lire hanno perso valore legale, sono venuti meno i poteri di utilizzarle quali strumenti di pagamento, ma non sono venuti meno i poteri di utilizzare quelle stesse Lire quali valori di scambio con l’Euro, poteri che, inizialmente, erano esercitabili fino ad ancora altri dieci anni.
Nella fattispecie, il limite temporale posto inizialmente al valore di scambio (28 febbraio 2012) è stato sostituito con un diverso limite temporale (6 dicembre 2011).
Si è visto che entrambi questi limiti sono venuti meno:
- il secondo perché dichiarato incostituzionale;
- il primo perché abrogato dal secondo e non rimesso in vita dalla incostituzionalità di quest’ultimo.
A seguito di ciò il potere di scambiare la moneta, non più disciplinato dalle leggi in questione, è risultato essere un potere esercitabile senza termine, ma non perché la legge lo abbia reso tale, implicitamente o esplicitamente, bensì in forza del vuoto legislativo che si è creato.
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La mancanza di un termine, espressamente indicato da una norma, all’esercizio del potere, ossia del diritto a scambiare le Lire in proprio possesso, non è dunque effetto di una volontà legislativa, o della conformazione stessa del diritto, ma è effetto di un vuoto di disciplina creatosi a seguito della dichiarazione di incostituzionalità della norma che aveva introdotto un termine abbreviato.
Pertanto si applica la disciplina generale (art. 2946 c.c.), in quanto la legge non ha diversamente previsto: sappiamo che il vuoto legislativo che si è creato non è “una diversa previsione legislativa”, ma, è per l’appunto, un vuoto, colmato dalla regola generale che, in tal caso, prevede la prescrizione decennale.
La Cassazione ha dunque rigettato il ricorso per decorso dei 10 anni e posto anche che il ricorrente non ha provato di aver interrotto il termine di prescrizione non sussistendo la prova della richiesta formale alla Banca.