Lesioni durante il combattimento di arti marziali non risarcibili

L’ordinanza della Cassazione 35602/21, spiega che non sono risarcibili le lesioni occorse durante una prova di arti marziali

Un atleta subiva la frattura del setto nasale durante la prova di esame di arti marziali, nello specifico di Ju Jitsu, nella struttura dove si allenava solitamente. Avviava così la pratica per ottenere un risarcimento, chiamando così in causa l’autore della frattura durante il combattimento, il quale, a sua volta, chiamava in causa la compagnia assicurativa. Sia in primo in primo grado che in Appello, veniva respinta la domanda, sostenendo entrambi giudici che, chi partecipa a determinate competizioni accetterebbe l’alea dei danni che possono derivare durante quella specifica pratica.

Risarcimento negato per le lesioni: ricorso in Cassazione

 

A tal punto l’atleta danneggiato ricorreva in Cassazione, lamentando, la violazione dell’art. 2043 c.c. ed omesso esame di un fatto decisivo. Il ricorrente, infatti sosteneva che “la regola applicata dal giudice di merito vale per gli incontri agonistici o per l’attività sportiva in senso stretto, mentre in questo caso, fatto la cui considerazione sarebbe stata omessa, l’incidente si era verificato durante un esame per il conseguimento di un livello superiore ed il ricorrente era stato chiamato a fare da sagoma umana, all’interno di un combattimento simulato”. Si aggiungeva alle motivazioni anche che, non essendoci stata una vera e propria attività sportiva, si fosse al di fuori del perimetro di applicazione della regola che pone l’accettazione del rischio come criterio di esclusione del ristoro.

La Cassazione conferma diniego

La Cassazione respinge la doglianza e motiva asserendo che, “l’attività agonistica implica l’accettazione del rischio ad essa inerente da parte di coloro che vi partecipano, per cui i danni da essi eventualmente sofferti rientranti nell’alea normale ricadono sugli stessi, onde è sufficiente che gli organizzatori, al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità, abbiano predisposto le normali cautele atte a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi” (Cass. n. 1564 del 1997; Cass. n. 20597 del 2004; Cass. n. 2710 del 2005)”.

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Gli Ermellini continuano inoltre spiegando che “si connota in termini di imprevedibilità in ragione dello scopo della norma violata: le regole del gioco infatti possono essere a presidio del gioco stesso, come a presidio della incolumità dell’avversario (in alcuni sport di contatto, il divieto di colpi bassi). In questi casi se lo sportivo procura danno, pur nel rispetto della regola di gioco, il danno può non porsi a carico del danneggiante per difetto di colpa”. E’ inoltre opportuno per i magistrati di Piazza Cavour, sottolineare che, se il danno è causato colpevolmente in violazione delle regole del gioco, in particolare di quelle che mirano a tutelare l’incolumità altrui,  “non si tratta di una scriminante, né tipica (consenso dell’avente diritto), né atipica, che altrimenti, l’attività sportiva sarebbe da considerare come illecita, ed invece è attività consentita e socialmente utile”.

Le conclusioni della Cassazione

La Cassazione pertanto conclude che “l’atleta accetta il rischio normalmente connesso a quel tipo di sport, non ogni rischio derivante dalla condotta altrui, anche dolosa”.

Aggiunge poi circa la seconda precisazione del ricorrente che: “non v’è motivo di distinguere a seconda della “occasione” e delle finalità per cui l’attività sportiva è svolta (se un allenamento, una prova o una competizione), mentre una distinzione rilevante può farsi rispetto ai dilettanti, proprio perché la risarcibilità del danno, come si è detto, dipende dal tipo di difformità del comportamento rispetto alla regola cautelare (danno causato pur nel rispetto della regola del gioco; danno causato in violazione, ma con colpa; danno causato in violazione, ma con dolo)”.