Docente: spingere uno studente a ritirarsi dalla prova per propri interessi è concussione ex art. 317 codice penale
La concussione
Dispone l’articolo 317 del codice penale: Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente , a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni.
Si tratta di un reato proprio, cioè di un reato che può essere commesso solo da un soggetto agente che si qualifichi come esercente una pubblica funzione.
Inoltre, è richiesto come elemento costitutivo della fattispecie l’abuso della sua qualità o dei suoi poteri.
L’abuso si sostanzia sia nell’abuso delle qualità , quando il pubblico ufficiale/incaricato fa valere la propria posizione, strumentalizzandola al fine di ottenere denaro o altra utilità, sia nell’abuso dei poteri, quando il pubblico ufficiale/incaricato utilizza in maniera distorta le attribuzioni dell’ufficio.
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Secondo la Suprema Corte, tali elementi sono ravvisabili anche nel rapporto tra docente universitario e studente qualora il docente, nella sua qualità di soggetto incaricato di pubblico servizio, eserciti delle pressioni sullo studente per conseguire un proprio vantaggio.
La sentenza
Con sentenza n.5057 del 03/11/2020 la Suprema Corte di Cassazione, sez. VI penale, ha così disposto: integrano l’abuso costrittivo del delitto di concussione le pressioni esercitate da un docente universitario su un candidato al concorso di ricercatore perché si ritiri dalla prova – allo scopo di favorire altro candidato, con minor punteggio per titoli e pubblicazioni – quando alla persona offesa non sia prospettato alcun vantaggio indebito, ma solo pregiudizi per la sua carriera accademica, a nulla rilevando, al riguardo, l’alea della attribuzione del posto messo a concorso, atteso che la vittima è stata comunque privata di una significativa “chance” di conseguirlo.