No all’emissione di assegni a vuoto dell’avvocato al cliente

Sezioni Unite della Cassazione: legale che emette assegni a vuoto per il cliente commette illecito disciplinare perché incrina il rapporto di fiducia

L‘emissione degli assegni a vuoto, per l’avvocato è un illecito disciplinare. La condotta è collegata all’adempimento del mandato per il cliente. A riguardo vediamo la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 37550/2021

assegno a vuoto

I fatti

Il Consiglio dell’ Ordine degli avvocati di Torino ha comminato a un avvocato proprio iscritto la sanzione disciplinare della sospensione dall’attività per la durata di 10 mesi, per mancato adempimento del mandato conferito da un cliente, per aver emesso due assegni bancari poi risultati scoperti e per aver falsamente formato e consegnato al cliente una scrittura privata di transazione.

Gli assegni a vuoto sono un illecito per il CNF

Interviene sul tema il Consiglio Nazionale Forense: i fatti integrano gli illeciti deontologici che erano stati contestati al professionista in questione, la sanzione inflitta al legale appare assolutamente aderente all’illecito atteso che lo stesso assume caratteri riconducibili a precise fattispecie penali.

Il ricorso in Cassazione

L’avvocato si oppone alla decisione del CNF presentando con ricorso le proprie doglianze in Corte di Cassazione: contesta alcuni vizi procedurali, la prescrizione di uno degli illeciti disciplinari addebitati e la mancata integrazione dell’illecito disciplinare. La tesi del ricorrente fa base sul fatto che il codice deontologico non precisi nello specifico quali sono i comportamenti tipici e le relative sanzioni da applicare ai legali e che pertanto ne discenderebbe logicamente l’obbligo d’indicare in sentenza le norme che si ritengono violate al fine di tener saldo ed integro il principio di legalità e tassatività.

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La Cassazione ribadisce che l’emissione di assegni a vuoto realizzano l’illecito 

L’avvocato aveva presentato cinque motivi a sostegno del proprio ricorso per Cassazione, in risposta dei quali la stessa Corte fornisce ragione del rigetto. In particolare, è rilevante evidenziare i motivi avversi presentati proprio per il quinto motivo, ove gli ermellini sostengono che: “pur essendo presente un apparato sanzionatorio ispirato alla tendenziale tipizzazione delle sanzioni, tuttavia il principio di stretta tipicità dell’illecito, proprio del diritto penale, non trova per esso applicazione.” Si fa presente infatti che, nella materia disciplinare forense non è prevista una puntuale e stretta elencazione dei comportamenti vietati, ma solo l’enunciazione dei doveri fondamentali,dai quali però si può dedurre la fattispecie dell’illecito “con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza” di cui all’art. 9 già artt. 5 e 6 del previgente codice deontologico forense. Il suddetto art. 9 costituisce una “norma di chiusura” che consente attraverso il sintagma «per quanto possibile» previsto nell’art. 3, comma 3, della legge n. 247 del 2012, di contestare l’illecito anche solo sulla sua base, onde evitare che la mancata “descrizione” di uno o più comportamenti e della relativa sanzione generi immunità.”