Secondo la Cassazione con sentenza n.36645 del 25 novembre 2021 non hanno diritto al risarcimento i genitori di un neonato con la sindrome di down se non provano la loro volontà di fare ricorso all’aborto.
Il caso
I genitori di un neonato con la sindrome di down hanno agito in giudizio contro la clinica per ottenere il risarcimento dei danni dovuti.
Secondo loro la struttura ha commesso due violazioni:
- quella di non avere informato della possibilità di fare amniocentesi o altro esame in grado di individuare la malattia;
- quella di non avere prescritto ed effettuato esami diagnostici durante le prime tre settimane di gravidanza, consigliate per gestanti di età avanzata ed utili ad individuare la malattia di cui era affetto il feto.
In primo grado il Tribunale ha ritenuto che non fosse adeguatamente provata né l’una né l’altra negligenza ed ha rigettato la domanda.
In appello è stata confermata la sentenza di primo grado sul presupposto che una indagine, fatta nelle prime settimane, non avrebbe consentito di individuare la trisomia ed il morbo di cui era afflitto il feto.
Ciò a seguito dell’espletata CTU, secondo la quale neanche dall’esame morfologico eseguito alla 19°settimana era dato evincere la malformazione.
Con riferimento al consenso informato, non v’era prova della volontà di abortire in caso di accertata malformazione.
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La motivazione della Cassazione
La Cassazione ritiene il ricorso inammissibile risolvendosi il ricorso proposto in un’istanza di rivalutazione del fatto.
Sul consenso informato, afferma la cassazione nella motivazione che:
la corte d’ Appello ha fatto applicazione del principio stabilito dalle sezioni unite della Cassazione secondo cui chi agisce deve dare prova che la gestante, se adeguatamente informata, avrebbe deciso, ricorrendone i presupposti, l’interruzione della gravidanza e che tale prova che può essere ricavata anche mediante presunzioni (Cass. Sez. Un. 25767/ 2015).
Secondo la Corte di Cassazione la Coorte d’appello ha accertato, con giudizio di fatto, quindi con valutazione delle prove rimessa alla discrezionalità del giudice, di non aver fornito una simile prova.
Secondo la corte di secondo grado anzi, i ricorrenti non avrebbero nemmeno allegato la circostanza, nel senso che le parti non hanno neanche fatto cenno alla possibilità di abortire in caso di accertata malformazione.