Raffaele Sollecito: Assoluzione e ingiusta detenzione

Non sempre la domanda di indennizzo per ingiusta detenzione consegue all’assoluzione: il rigetto della richiesta di Raffaele Sollecito

Il caso

Il tragico omicidio di Meredith Kercher, la studentessa universitaria ventunenne che a Perugia, nella casa di via della Pergola, ha trovato la morte nella notte del 1° novembre 2007, è stato un caso che ha scosso molto l’opinione pubblica.

Come tutti sanno, il processo ha visto il coinvolgimento di tre persone: Raffaele Sollecito, Amanda Knox e Rudy Guede.

Dopo una lunga e complicata vicenda giudiziaria, Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati assolti, Rudy Guede, invece, dopo la scelta dell’abbreviato, è stato condannato ad anni 16 di reclusione per i reati di violenza sessuale e concorso in omicidio (Guede è attualmente libero dopo avere scontato la pena inflittagli).

Nel corso del procedimento, nei confronti di Raffaele Sollecito sono state applicate delle misure restrittive cautelari, in ordine alle quali, in seguito all’assoluzione, lo stesso ha proposto domanda di indennizzo.

Della questione si è occupata anche la Suprema Corte di Cassazione, rigettando la richiesta.

La Corte

La Corte di Appello ha respinto la richiesta di riparazione avanzata da S.R. per l’ingiusta detenzione patita tra il 6 novembre 2007 e il 3 ottobre 2011 nell’ambito del procedimento penale che lo aveva visto imputato dei reati di cui all’art.575 c.p. e art. 573 c.p., comma 1, n. 5, L. n 110 del 1975 art. 4, art. 609 bis c.p. e art. 609 ter c.p., n. 2, artt. 624 bis e 367 c.p. e art. 61 c.p. n. 2, dai quali era stato assolto per non aver commesso il fatto (tranne che dalla contravvenzione dichiarata prescritta) con sentenza resa dalla Corte di Cassazione il 27 marzo 2015, di annullamento senza rinvio della condanna pronunciata in appello.

Il ricorrente Sollecito ha quindi proposto ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte, sez. IV penale, con sentenza n.42014 del 28/06/2017 ha stabilito che: “Perché sia riconosciuto l’indennizzo per ingiusta detenzione, l’interessato non deve aver influito nella custodia cautelare subìta con dolo o colpa grave”

Secondo la Corte infatti: La reticenza, la menzogna e il silenzio da parte dell’imputato sono scelte difensive legittime, che possono però “pesare” in negativo sulla richiesta di indennizzo per ingiusta detenzione.

I giudici di legittimità hanno quindi confermato il giudizio della Corte d’appello ritenendo che: le versioni contraddittorie, che hanno sempre trovato una smentita, e il falso alibi fornito hanno inciso sulla scelta dei giudici di applicare severe misure cautelari.

LEGGI ANCHE:Ingiusta detenzione: quando si può ricevere l’indennizzo

La richiesta di un indennizzo per ingiusta detenzione ex art. 314 c.p.p. consegue ad una sentenza di assoluzione che accerti la infondatezza della ipotesi accusatoria all’esito del giudizio di merito: ciò costituisce presupposto necessario per poter avanzare l’istanza di riparazione ma non è sufficiente per il suo accoglimento, postulando altresì la norma che l’interessato non abbia dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare subita con dolo o colpa grave.

Non basta perciò richiamare le lacune dell’istruttoria e delle indagini preliminari, dovendosi verificare comunque l’esistenza di un comportamento gravemente colposo o doloso dell’interessato che abbia svolto un’azione sinergica rispetto all’adozione ed al mantenimento della misura custodiale.