Secondo la Cassazione, in caso di fallimento in sede di opposizione a precetto, la causa non può continuare
Secondo la Corte di Cassazione, nel principio enunciato con la sentenza n. 29327/19, il giudizio di cognizione ordinaria che si apre a seguito di opposizione a precetto, è improseguibile nel caso di fallimento del debitorie, con necessaria declaratoria di improcedibilità dell’azione riassunta anche dal curatore fallimentare.
Preliminarmente, la Corte richiama principio di intangibilità dello stato passivo fallimentare non impugnato, in ragione del quale agli organi della procedura non è consentito di far valere la revocabilità o l’inopponibilità alla massa di crediti già ivi ammessi definitivamente con mezzi diversi dagli specifici rimedi previsti dalla legge fallimentare (Sez. 1, Sentenza n. 5840 del 08/03/2013, Rv. 625628 – 01; sul principio di intangibilità dello stato passivo e sulle relative preclusioni v. pure Sez. U, Sentenza n. 16508 del 14/07/2010, Rv. 614438 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 24164 del 13/10/2017, Rv. 645542 – 01)
Secondo la Corte “il giudizio di opposizione a precetto, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, non può essere proseguito, successivamente alla dichiarazione di fallimento del debitore opponente, dalla curatela fallimentare, in quanto, trattandosi di una causa di accertamento negativo dell’esistenza del credito di cui è stato intimato il pagamento, resta attratta nella competenza del tribunale fallimentare stabilita dalla L. Fall., art. 52, comma 2, secondo cui ogni credito deve essere accertato secondo le norme stabilite per la verifica dello stato passivo”.
LEGGI ANCHE: Revocatoria fallimentare: computo a ritroso del periodo sospetto
Difatti, essendo l’opposizione a precetto un giudizio di accertamento negativo (Sez. 3, Sentenza n. 20634 del 22/09/2006, Rv. 593364 01; Sez. L, Sentenza n. 16610 del 28/07/2011, Rv. 618698 – 01), quando il debitore opponente è una curatela fallimentare, essa si configura come un rimedio volto a contestare l’esistenza dell’esposizione debitoria in una sede diversa da quella endofallimentare, in violazione della L. Fall., art. 52, comma 2.