In vacanza con la Legge 104 del 1992: costituisce reato

In vacanza con la Legge 104/1992: è reato di truffa ex art. 640 codice penale e non si applica la particolare tenuità ex art 131 bis c.p.

La Legge 104/92

La finalità perseguita dalla legge 104 del 1992 è la tutela della salute psico-fisica del disabile.

Tale finalità postula anche l’adozione di interventi economici integrativi di sostegno alle famiglie “il cui ruolo resta fondamentale nella cura e nell’assistenza dei soggetti portatori di handicap”.

Nel novero di tali interventi si iscrive il diritto al permesso mensile retribuito.

Infatti, la ratio legis di tale istituto consiste nel favorire l’assistenza alla persona affetta da handicap grave in ambito familiare.

L’interesse primario della norma è quello di “assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare, indipendentemente dall’età e dalla condizione di figlio dell’assistito“.

L’istituto del permesso mensile retribuito è dunque in rapporto di stretta e diretta correlazione con le finalità perseguite dalla L. 104/92 , in particolare con quelle di tutela della salute psico-fisica della persona portatrice di handicap”.

Cosa accade se durante il permesso retribuito ci si dedica ad attività reca in vacanza?

Secondo la Cassazione si commette il reato di truffa e non può essere invocata la particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.

Il caso

Con sentenza n.54712 del 01/12/2016 la Suprema Corte di Cassazione sez. II penale, si è occupata di un caso in cui una donna è stata condannata per il delitto di cui all’art 640 c.p. n. 2, per avere utilizzato i permessi retribuiti di cui alla L. 104 del 1992 ex art. 33 relativi ai giorni 29 settembre, 3, 6 e 8 ottobre, non per assistere il familiare disabile ma per recarsi all’estero in viaggio con la propria famiglia.

Secondo la Corte, è inapplicabile la particolare tenuità del fatto al reato di truffa commesso da chi, durante il periodo di permessi ex l. 104/92, faccia un viaggio di piacere […]

E’ evidente, infatti, che l’assistenza non è fattualmente ipotizzabile nelle ipotesi in cui, come quello in esame, il fruitore dei permessi, si disinteressi completamente dell’assistenza, partendo per l’estero: i permessi, infatti, non possono e devono essere considerati come giorni di ferie (perché a tal fine è preposto un ben preciso e determinato istituto giuridico), ma solo come un’agevolazione che il legislatore ha concesso a chi è si è fatto carico di un gravoso compito, di poter svolgere l’assistenza in modo meno pressante e, quindi, in modo da potersi ritagliarsi in quei giorni in cui non è obbligato a recarsi al lavoro, delle ore da poter dedicare esclusivamente alla propria persona.

In conclusione, la censura dev’essere disattesa alla stregua del seguente principio di diritto: “colui che usufruisce dei permessi retribuiti L. 104 del 1992 ex art. 33 comma 3, pur non essendo obbligato a prestare assistenza alla persona handicappata nelle ore in cui avrebbe dovuto svolgere attività lavorativa, non può, tuttavia, utilizzare quei giorni come se fossero giorni feriali senza, quindi, prestare alcuna assistenza alla persona handicappata.

Di conseguenza, risponde del delitto di truffa il lavoratore che, avendo chiesto ed ottenuto di poter usufruire dei giorni di permesso retribuiti, li utilizzi per recarsi all’estero in viaggio di piacere, non prestando, quindi, alcuna assistenza“.

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[…] La condotta dell’imputata, in sé, è grave e, quindi, non può essere ritenuta di particolare tenuità sia perché è una condotta che è gravata sulla collettività, sia perché, come ha stigmatizzato la Corte territoriale, “dimostra la strumentalizzazione della malattia della madre per allungare una programmata vacanza per la quale non le restavano più giornate di ferie (….) tale comportamento è espressione di un illegittimo malcostume, conseguenza di una mal riposta fiducia nella lealtà del dipendente che dimostra che l’omissione dell’effettuazione di controlli può essere facilmente utilizzata dal dipendente che se ne voglia approfittare per proprio tornaconto personale (…)”.