La catena è per l’animale una sofferenza e si configura come condotta di maltrattamento dello stesso al di là di ulteriori lesioni inflitte
Un cane è lasciato legato a una catena di soli 120 cm, detenuto di conseguenza in uno spazio angusto, in esposizione più ore al giorno alle intemperie, così come tenuto sotto il sol battente, senza cibo e acqua per consentire allo stesso di sfamarsi ed idratarsi e senza curare le ferite inferte dal cane di proprietà lasciato invece libero. Per l’autore della condotta, si configura il reato di maltrattamenti. Nella sentenza della Corte di Cassazione n. 34087/2021, l’autore del reato era punito al versamento sanzionatorio di euro 5.000, nonostante abbia dichiarato di non essere il legittimo proprietario dell’animale, ma detenendolo in condizioni inidonee, risponde personalmente del reato ascritto.
La catena affligge sofferenza all’animale: è maltrattamento
In secondo grado si confermava la condanna per l’imputato colpevole del reato di maltrattamenti di animali di cui all’art. 544 ter c.p, mentre si dichiarava di non dover procedere per quello di abbandono contemplato dall’art. 727 c.p, infliggendo la sanzione della multa per un importo di 5000 euro e il beneficio della non menzione della condanna.
Il ricorso in Cassazione: l’uomo contesta la condotta attribuita e la proprietà dell’animale tenuto alla catena
L’imputato perciò ricorreva in Cassazione presentando le seguenti doglianze in merito alla decisione della Corte di Appello:
- La prima lamentava l’errata attribuzione della pena a causa della mancata considerazione del fatto che l’imputato non fosse il proprietario dell’animale e quindi non potesse essere ritenuto responsabile di alcuna azione od omissione nei suoi confronti, essendo il cane della compagna.
- La seconda, contesta l’attribuzione delle lesioni presenti sul muso dell’animale alla sua condotta intenzionale nel voler procurare lesioni con un bastone all’animale. L’oggetto, secondo l’imputato, era stato utilizzato per separare il Bull Terrier dal suo Pastore tedesco ed evitare che si facessero male.
- La terza, contesta la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, data la motivazione resa a giustificazione della condotta lesiva per l’animale posta in essere dall’imputato.
La Cassazione respinge il ricorso dell’imputato in quanto inammissibile perché manifestamente infondato. Il Codice penale postula a riguardo che: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione a un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.”
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La Cassazione: maltrattamento tenere alla catena l’animale e ferirlo con il bastone
- Dalla norma emerge prima di tutto che il reato è comune, per cui chiunque può commetterlo e quindi essere condannato alle pene previste. Non assume rilievo quindi, contrariamente a quanto sostenuto dall’imputato, che il canenon fosse di sua proprietà.
- Il termine lesione, contemplato dalla norma, anche se fa riferimento a una lesione diversa da quella contemplata dall’art 582 c.p, si configura quando si provoca un’apprezzabile diminuzione dell’integrità fisica dell’animale e comunque la fattispecie punisce anche chi tiene comportamenti incompatibili con le caratteristiche del canein questo caso. Condotta che nel caso di specie è rappresentata dall’avere tenuto l’animale in uno spazio ristretto, senza possibilità di muoversi, in condizioni di sporcizia e denutrizione, senza acqua sufficiente e senza un riparo idoneo dal sole.
- Non rileva la proprietàaltrui dell’animale, visto che lo stesso era sotto la sfera di disponibilità dell’imputato. Posizione da cui deriva la responsabilità per le condotte attive e omissive contestate.
Si osserva che, ai fini della attribuzione della responsabilità, il fatto che l’animale, quando sono intervenuti i veterinari, si trovasse nel giardino di proprietà dell’imputato, nelle condizioni descritte già più volte da molti contestate, rende a lui correttamente ascrivibile il reato. Inammissibile anche il secondo motivo, con cui l’imputato ha contestato l’attribuzione della condotta che ha provocato le lesioni provocate all’animale come se fossero discese dall’intenzione di dividere i due cani che stavano litigando. In ogni caso lo stesso si sarebbe potuto adoperare per evitare le aggressioni alla femmina da parte del suo cane, posto che fosse evidente l’impossibilità dell’animale legato di potersi difendere da solo. Respinto anche il terzo motivo in quanto si legge “In materia di delitti contro il sentimento per gli animali, la fattispecie di maltrattamento di animali (art. 544-ter cod. pen.) configura un reato a dolo specifico nel caso in cui la condotta lesiva dell’integrità e della vita dell’animale è tenuta per crudeltà, mentre configura un reato a dolo generico quando la condotta è tenuta senza necessità”.
Conclusioni
Si conclude precisando che “nel caso di specie la condotta, riguardata sotto lo specifico profilo considerato, è stata consapevolmente e volontariamente tenuta, quantomeno senza alcuna necessità, ossia con dolo generico, come adeguatamente motivato, in assenza di contraddizioni e di manifeste illogicità i dalla sentenza impugnata e dalla decisione di primo grado, con accertamenti in fatto insindacabili in sede di legittimità.”