L’insegnante scartata per l’orientamento sessuale ha diritto al risarcimento

Se un’insegnante è scartata per le presunzioni sul suo orientamento sessuale c’è discriminazione. Al di là che la scuola sia cattolica

 

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 31071/2021 accoglie le doglianze di una lavoratrice, della Cgil e di un’Associazione. Le parti avevano agito in giudizio al fine di veder condannata la condotta discriminatoria di un istituto religioso tenuta durante le selezioni per una assunzione di una figura di insegnante. In primo grado, come in sede di gravame, veniva accertata la natura discriminatoria della condotta e pertanto la Corte ha ordinato all’Istituto la cessazione di detta condotta provvedendo alla condanna a risarcire la lavoratrice per una somma pari a  euro13.329,00 a titolo di danno patrimoniale e pari a  euro 30.000,00 per i danni morali sofferti, disponendo anche un risarcimento di euro 10.000 per la Cgil l’Associazione, oltre alla pubblicazione della sentenza.

La scuola non ci sta

L’Istituto religioso ricorre pertanto in Cassazione lamentando i seguenti motivi

  • la violazione della regola del riparto dell’onere probatorio perché la Corte ha addossato all’istituto l’ onere probatorio negativo della discriminazione.
  •   la mancata considerazione da parte della Corte che non ha tenuto conto effettivamente, nel decidere, della legge contrattuale che disciplina il rapporto e del progetto educativo specifico che l’Istituto vuole realizzare.
  • la violazione del principio di uguaglianza e la libertà d’insegnamento sanciti dalla Costituzione ovvero della libertà dell’istituto di organizzarsi come desidera.
  • il riconoscimento del danno non patrimoniale, pur in assenza di prove sulle perdite di utilità personali e di vita conseguenti.

il riconoscimento del danno non patrimoniali alle organizzazioni intervenute perché anche in questo caso non è stata fornita alcuna prova sulle perdite patite.

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L’insegnante scartata dalla scuola cattolica a causa dell’orientamento sessuale va risarcita

Valutato il primo motivo i giudici lo rigettano in quanto precisano che solo il giudice può decidere a quali elementi attribuire maggiore attendibilità e rilevanza ai fini del giudizio. Il secondo motivo invece, non può essere accolto perché anche l’accertamento della volontà negoziale consiste in un giudizio di fatto rimesso al giudice di merito. Non può essere accolto neppure il terzo motivo in quanto il ricorrente si limita a citare normativa di diverso rango, ma non collega come la libertà d’insegnamento si possa esplicare e legittimare condotte discriminatorie come quelle che sono state accertate in sede di merito. Non merita accoglimento neppure il quanto motivo, si legge infatti: “in ragione della gravità della discriminazione e del discredito connesso alle dichiarazioni diffamatorie” che hanno condotto a un risarcimento di 30.000 euro “con un percorso motivazionale che tiene adeguatamente conto che l’atto discriminatorio è lesivo della dignità umana ed è intrinsecamente umiliante per il destinatario.” Non può essere accolto neppure l’ultimo motivo per le stesse ragioni che hanno condotto al rigetto del motivo precedente.