Bullismo: vediamo cosa succede quando la vittima reagisce al bullo in modo violento provocando delle lesioni
Il bullismo
Negli ultimi anni ha attirato particolarmente l’attenzione il fenomeno del bullismo, cioè un comportamento caratterizzato da azioni violente o intimidatorie attuate da un soggetto, definito bullo, o da un gruppo di bulli, nei confronti di una vittima.
Con l’avvento dei social network il bullismo si è manifestato anche sulle piattaforme social con linguaggi offensivi e denigratori nei confronti della vittima prescelta dal bullo, prendendo il nome di cyberbullismo.
Il bullismo è generalmente attuato nei confronti di soggetti svantaggiati o indifesi, ma cosa accade se la vittima trova il coraggio di reagire al sopruso e compie a sua volta un atto violento?
Un caso di “reazione al bullo” è giunto in Cassazione.
Il caso
La Suprema Corte di Cassazione Civile con sentenza n.22541 del 10/09/2019, si è occupata di un caso in cui in una scuola, uno studente continuamente vessato da un compagno, ha reagito sferrando un pugno in faccia al bullo, provocando a quest’ultimo l’avulsione traumatica dell’incisivo superiore laterale di sinistra, la lussazione dell’incisivo centrale ed escoriazioni al labbro.
A seguito di procedimento penale presso il Tribunale dei minori, concluso con sentenza di non luogo a procedere, il danneggiato agiva in sed civile per il risarcimento dei danni ed il giudizio giungeva in Cassazione.
La Corte, nel ribadire la necessità di introdurre nell’ordinamento forme di giustizia riparativa specificamente calibrate sul fenomeno del bullismo, ha confermato la ferma condanna tanto dei comportamenti prevaricatori e vessatori quanto di quelli reattivi.
Tuttavia, secondo la Corte, la risposta giuridica, nel caso in questione, non si dovrebbero ignorare le condizioni di umiliazione a cui l’adolescente è stato ripetutamente sottoposto.
Pertanto in caso di reazione violenta da parte della vittima di bullismo nei confronti del “bullo”, deve essere riconosciuto il concorso di colpa, anche se l’aggressione è avvenuta in un momento diverso, soprattutto in assenza di prove in relazione alle modalità con cui le istituzioni, e in particolare la scuola, fossero intervenute per arginare il fenomeno del bullismo.
La sentenza
Cos’ argomenta la Corte: “Quando l’autore della reazione sia un adolescente, vittima di comportamenti prevaricatori, aggressivi, mortificanti e reiterati nel tempo, occorre, in aggiunta, tener conto che la sua personalità non si è ancora formata in modo saldo e positivo rispetto alla sequela vittimizzante cui è stato supposto.
È prevedibile, infatti, che la sua reazione possa risolversi, a seconda dei casi, nell’adozione di comportamenti aggressivi internalizzati che possono trasformarsi, con costi anche particolarmente elevati in termini emotivi, in forme di resilienza passiva e autoconservative, evolvere verso forme di autodistruzione oppure tradursi, come è avvenuto nel caso di specie, nell’assunzione di comportamenti esternalizzati aggressivi.
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Pur dovendosi neutralizzare e condannare l’istinto di vendetta del minore bullizzato, è innegabile che la risposta ordinamentale non possa essere solo quella della condanna dell’atto reattivo come comportamento illecito a sé stante, ignorando le situazioni di privazione e di svantaggio che ne costituivano il sostrato.
Non solo perché l’ignoranza e la sottovalutazione possono (persino) attivare un circolo negativo di vittimizzazione ulteriore, ma anche perché il bullismo non dà vita ad un conflitto meramente individuale, come dimostrano le rilevazioni statistiche, e richiede un coacervo di interventi coordinati che, oltre a contenere il fenomeno, fungano da diaframma invalicabile che si interponga tra l’autore degli atti di bullismo e le persone offese, anche onde rendere del tutto ingiustificabile la reazione di queste ultime.