Lampade votive cimmiteriali: se la società si appropria delle somme del comune è peculato o appropriazione indebita?
Il Caso
La gestione delle lampade votive cimiteriali viene spesso affidata, previo bando di gara, a società esterne, che hanno il compito di curarle e di versare al Comune le somme spettanti a titolo di aggio.
Cosa accade se la società trattiene per sé le somme spettanti al Comune?
Di sicuro si commette reato, ma quale reato si configura? L’appropriazione indebita o il peculato?
Recentemente la Suprema Corte di Cassazione si è occupata proprio di un caso in cui il legale rappresentante di una società è stato condannato per il delitto di peculato, per essersi appropriato delle somme dovute al Comune a titolo di aggio sui corrispettivi riscossi dalla società per il servizio di gestione delle lampade votive presso il cimitero di quel comune.
La sentenza
Con la sentenza n.29188 del 11/05/2021 la Consulta ha stabilito che: Il legale rappresentante della società che si appropria di somme dovute al comune a titolo di aggio sui corrispettivi per le lampade votive commette peculato
Più precisamente, secondo Corte, commette il reato di peculato, e non di appropriazione indebita, il legale rappresentane della società che si occupa della gestione delle lampade votive presso il cimitero comunale e che si appropria delle somme dovute al comune a titolo di aggio sui corrispettivi riscossi.
A nulla rileva che le somme siano trattenute a titolo di compensazione di un credito vantato nei confronti dell’ente, né tantomeno che il contratto di appalto che legava la società al Comune sia scaduto.
Non assume alcun valore, né costituisce una giustificazione l’«autoliquidazione» posta in essere dal ricorrente, pertanto, anche se il credito era dovuto, sussiste comunque il reato di peculato.
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Infatti, argomenta la Corte: “il peculato si consuma nel momento in cui ha luogo l’appropriazione della res o del danaro da parte dell’agente, la quale, anche quando non arreca, per qualsiasi motivo, danno patrimoniale alla pubblica amministrazione, è comunque lesiva dell’ulteriore interesse tutelato dall’art. 314 c.p., che si identifica nella legalità, imparzialità e buon andamento del suo operato (Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, Rv. 244190).
Nulla, pertanto, autorizzava la ricorrente a trattenere le somme incassate in esecuzione del servizio svolto; né potrebbe rilevare l’eventuale sua erronea convinzione che ciò le fosse consentito, trattandosi di errore di diritto e non sul fatto.”