Onere della prova nel processo tributario e poteri istruttori del giudice

Vale la regola generale dettata dall’art. 2697 c.c. in materia di onere della prova anche nel processo tributario

onere della prova nel processo tributario

La prova dei fatti costitutivi della pretesa

L’amministrazione finanziaria che vanti un credito nei confronti del contribuente, è tenuta a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa.

Infatti, ricorda la Cassazione che nel processo tributario vale la regola generale in tema di distribuzione dell’onere della prova dettata dall’art. 2697 c.c..

La c.d. presunzione di legittimità degli atti amministrativi (un tempo evocata per giustificare la loro idoneità ad incidere unilateralmente nella sfera giuridica altrui) non opera nei confronti del giudice ordinario.

I poteri istruttori del giudice tributario: presupposti e limiti

L’art. 7 del D.lgs 546/1992 attribuisce al giudice il potere di disporre l’acquisizione d’ufficio di mezzi di prova, ma  non consente al giudice di sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori.

In realtà  gli attribuisce solamente un potere istruttorio in funzione integrativa, e non integralmente sostitutiva, degli elementi di giudizio (così Cass. Civ., Sez. 5, n. 673 del 15/01/2007).

Come ribadito dalla recente sentenza della Cassazione Civile sez. Tributaria n. 29856 del 25.10.2021 il potere istruttorio del giudice può essere esercitato solo nel caso sussista una situazione di obiettiva incertezza al fine di integrare gli elementi di prova già forniti dalle parti e non anche nel caso in cui il materiale probatorio acquisito agli atti imponga una determinata soluzione della controversia.

Ciò, sempre che la parte su cui ricade l’onere della prova non abbia essa stessa la possibilità di integrare la prova già fornita ma questa risulti piuttosto ostacolata dall’essere i documenti in possesso dell’altra parte o di terzi.

I poteri in questione non sono arbitrari ma discrezionali ed il loro esercizio, così come il loro mancato esercizio, deve essere adeguatamente motivato

Il Giudice può ordinare il deposito di documenti?

La Cassazione ha affermato che, a seguito dell’abrogazione dell’art. 7 comma 3 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, al giudice di appello non è più consentito ordinare il deposito di documenti, dovendo, invece, essergli riconosciuto il potere di ordinarne “ex officio” l’esibizione ai sensi dell’art.210 c.p.c.

Le “nuove prove” che il giudice di appello può disporre ex officio, sono quelle stesse che il giudice di primo grado può ordinare ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, non potendosi ritenere che il giudice di secondo grado abbia poteri istruttori ufficiosi diversi e maggiori rispetto a quelli della Commissione provinciale.

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Ordine di esibizione

Dopo la predetta abrogazione, nemmeno il giudice di appello può ordinare il deposito di documenti sollevando la parte dall’onere della prova, residuando soltanto il potere di ordinare l’esibizione ex officio di cui all’art. 210 c.p.c..

L’unica ipotesi in cui è possibile disporre l’esibizione di documenti d’ufficio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 1, è quando sussista il presupposto dell’impossibilità di acquisire la prova altrimenti, come nel caso in cui una parte non possa conseguire i documenti in possesso dell’altra, in situazioni di oggettiva incertezza, in funzione integrativa degli elementi istruttori in atti.

Al contrario, proprio per la giurisprudenza formatasi per l’applicazione dell’art. 210 c.p.c., non può essere ordinata l’esibizione in giudizio di un documento di una parte o di un terzo, quando l’interessato può di propria iniziativa acquisirne una copia e produrla in giudizio.