Se si subisce un danno biologico da un intervento che diventa più invasivo di quanto preventivato si applica il calcolo differenziale
Con la sentenza n. 27265/2021 la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’ASL che era stata condannata al risarcimento dei danni alla salute nei confronti di una donna di ventitré anni sottoposta, a un’operazione alle ovaie durante la quale però, con esame istologico estemporaneo, veniva scoperto un carcinoma alle ovaie.
L’equipe medica, senza interrompere l’intervento e senza acquisire uno specifico e preventivo consenso della donna, ma solo con avviso verbale dato dalla madre che attendeva fuori dalla sala operatoria, decideva per l’asportazione sia delle ovaie che dell’utero.
Danno biologico: diritto al risarcimento
L’intervento così realizzato, diverso da quello inizialmente programmato e maggiormente invasivo, inizia a provocare tutta una serie di conseguenze fisiche e psicologiche sulla giovane. Giunti in Corte d’Appello in rinvio, si condannava l’ASL al risarcimento danni stante l’assenza del consenso informato e ritenendo nel merito che rappresentata clinicamente tramite le evidenze probatorie una massa tumorale circoscritta, si sarebbe potuto praticare un intervento maggiormente conservativo. Il giudice a liquidava i danni, compreso quello biologico per lesione del diritto alla salute, con la massima personalizzazione.
La Cassazione stabilisce che vada risarcito il danno biologico ma con calcolo differenziale
Ricorrendo in Cassazione, l’ASL lamenta proprio i criteri seguiti dal giudice di merito per la quantificazione dei suddetti danni.
La Cassazione, rileva che il Giudice non ha distinto tra causalità materiale e causalità giuridica, avendo addebitato all’ASL nella liquidazione del danno alla salute, l’intero danno biologico conseguente alla perdita integrale dell’apparato riproduttivo, senza invece considerare che, ad ogni modo, come intervento salvavita, a causa della patologia, parte di esso doveva comunque essere necessariamente asportato dai sanitari.
Il “danno differenziale”
Dunque, il danno biologico effettivamente subito sarebbe dovuto essere calcolato attraverso la tecnica del “danno differenziale“. Così operando, a carico dell’Azienda sanitaria, sarebbe da considerare solo l’evento della quale poteva essere ritenuta responsabile. Occorre dunque, secondo gli Ermellini, che a carico dell’Azienda si possano addebitare solo le conseguenze riconducibili al suo ambito di responsabilità “perché determinate dall’esecuzione di un intervento demolitivo non necessario, eseguito però non su un apparato genitale completo di una persona sana, ma su un corpo già di necessita inciso in maniera consistente a causa della malattia”. Il principio ribadito pertanto prevede che “in materia di responsabilità per attività medico chirurgica, ove si individui in un pregresso stato morboso del paziente danneggiato (nella specie la patologia tumorale in atto) e nell’intervento chirurgico correttamente eseguito per asportare la parte del corpo irrimediabilmente compromessa altrettanti antecedenti privi di interdipendenza funzionale con l’accerta condotta colposa del sanitario (consistente nella specie nell’asportazione dell’intero apparato riproduttivo), ma dotato di efficacia concausale nella determinazione dell’unica e complessiva situazione patologica riscontrata, allo stesso non può attribuirsi rilievo sul piano della ricostruzione del nesso di causalità tra detta condotta e l’evento dannoso, appartenendo a una serie causale del tutto autonoma rispetto a quella in cui si inserisce il contegno del sanitario, bensì unicamente sul piano della determinazione equitativa del danno”.
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Liquidazione del danno
Si richiamano, pertanto, i principi affermati per la liquidazione del danno c.d. differenziale secondo i quali “in tema di liquidazione del danno alla salute, l’apprezzamento delle menomazioni preesistenti ‘concorrenti’ in capo al danneggiato rispetto al maggior danno causato dall’illecito, va compiuto stimando prima in punti percentuali l’invalidità complessiva, risultante cioè dalla menomazione preesistente sommata a quella causata dall’illecito, poi stimando quella preesistente all’illecito, convertendo entrambe le percentuali in una somma di denaro e procedendo, infine, a sottrarre dal valore monetario dell’invalidità complessivamente accertata, quello corrispondente al grado di invalidità preesistente”. Si legge pertanto il seguente giudizio di legittimità su quanto statuito dalla Corte Territoriale, la quale viene ritenuta “abbagliata dall’obiettiva drammaticità della situazione in cui e precipitata in giovane età la signora, ha effettuato una quantificazione del danno rapportata all’invalidità complessiva successiva all’intervento chirurgico senza minimamente considerare che, dall’importo in tal modo determinato, doveva essere sottratto il valore monetario corrispondente alla patologia originaria e alle conseguenze necessitate dall’intervento chirurgico volto alla sua rimozione a detrimento delle possibilità riproduttive della paziente, ma a salvaguardia delle sue aspettative di vita in modo tale da determinare il differenziale risarcitorio, da personalizzare, spettante alla danneggiata”.