L’avvocato che ha compiuto un adempimento ed ha un mandato va pagato

Se l’avvocato ha portato a termine l’adempimento previsto dal mandato, che è stato conferito deve essere pagato

avvocato va pagato

Con l’ordonanza n. 28226/2021, la Cassazione stabilisce che
un avvocato che sia a richiedere il pagamento dei propri compensi deva provare il conferimento dell’incarico da parte del committente e il relativo adempimento, ma tuttavia è onere del committente invece dimostrare invece l’eventuale accordo che prevede la gratuità della prestazione.

Il professionista aveva agito in giudizio per chiedere il pagamento del proprie spettanze alla convenuta, in favore della quale ha svolto attività professionale in un procedimento penale, non avendo questa ancora provveduto al saldo dei compensi dovuti.

Il giudice di pace rigetta la domanda, ma in sede di appello l’avvocato ottiene la condanna della convenuta al pagamento delle sue spettanze ammontanti ad euro 5.000, anche se le spese vengono compensate. Il Tribunale giunge a questa decisione ritenendo non provato l’accordo tra avvocato e cliente sulla gratuità della prestazione professionale, mettendo in rilievo che la pretesa gratuità della prestazione non fa che confermare il mancato pagamento del credito del legale, in evidente contrasto con l’asserita prescrizione presuntiva eccepita.

In Cassazione: va pagato l’avvocato  se c’è mandato ed adempimento

L’avvocato, ricorre tuttavia in Cassazione con le seguenti doglianze:

  • Lamenta l’errata decisione del Tribunale di aver compensato le spese di giudizio.
  • Lamenta inoltre l’errore relativo al mancato accoglimento della domanda avanzata per ottenere il risarcimento del danno ai sensi dell’art 96 c.p.c., ossia la temerarietà della lite.
  • In ultima doglianza ricorre per l’omessa decisione sulla richiesta risarcitoria per abuso del processo in violazione dell’art. 88 c.p.c

Parte convenuta nel proporre ricorso incidentale ritiene che la sentenza sia nulla e ribadisce la gratuità della prestazione oggetto del giudizio.

Se non viene dimostrata da parte del committente la gratuità della prestazione e c’è il mandato vi è soccombenza: le spese di lite

La Corte di Cassazione, pronunciandosi prima sui motivi del ricorso principale accoglie il primo, perché fondato, ma respinge gli altri due e respinge inoltre il ricorso incidentale. Per gli Ermellini il primo motivo con cui l’avvocato contesta la compensazione delle spese di giudizio è fondato e va accolto in quanto nel caso di specie non c’è stata soccombenza reciproca e non ricorrono le altre condizioni previste dal comma 2 dell’art. 92 c.p.c in presenza delle quali il giudice può procedere alla compensazione. Respinto invece il secondo motivo del ricorso perché, ai fini del riconoscimento del risarcimento del danno, in quanto non si è accertata mala fede o colpa grave o in difetto della normale prudenza nella condotta di controparte, ma non si può tuttavia accertare ora in sede di legittimità. Respinto anche il terzo motivo per carenza dei requisiti necessari.

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La Cassazione respinge anche l’unico motivo sollevato dalla convenuta, con cui ribadisce la gratuità della prestazione, perché il Tribunale ha correttamente affermato il mancato adempimento probatorio in relazione alla gratuità della prestazione e l’incompatibilità con l’eccezione di prescrizione presuntiva avanzata. Lo stesso pertanto afferma che”la gratuità della prestazione non poteva reputarsi provata tout court in virtù dei rapporti personali intercorsi tra le parti all’epoca dello svolgimento e successivamente allo svolgimento dell’incarico.”, avendo già chiarito che “nel contratto di prestazione d’opera intellettuale, come nelle altre ipotesi di lavoro autonomo, l’onerosità è elemento normale, anche se non essenziale, sicché, per esigere il pagamento, il professionista deve provare il conferimento dell’incarico e l’adempimento dello stesso, e non anche la pattuizione di un corrispettivo, mentre è onere del committente dimostrare l’eventuale accordo sulla gratuità della prestazione. Per altro verso, questa Corte spiega che l’eccezione di prescrizione presuntiva è incompatibile con qualsiasi comportamento diretto o indiretto del debitore che importi, sia pure implicitamente, l’ammissione in giudizio che l’obbligazione da lui assunta non sia stata estinta; e che la relativa valutazione dà luogo ad un apprezzamento di fatto che, se logicamente motivato – come nel caso di specie – è incensurabile in sede di legittimità.”