La Cassazione condanna la madre che provoca lesioni al figlio minore con ripetuti schiaffi e spinte non considerandolo fatto tenue
Schiaffi al figlio? La Cassazione condanna una madre
Con la sentenza n. 37080/2021 della Corte di Cassazione, una madre viene condannata per lesioni e abuso dei mezzi di correzione commessi ai danni del figlio, a cui ha dato una spinta e uno schiaffo per futili motivi. La difesa aveva invocato la causa di non punibilità, ma tuttavia sia la Corte di primo grado che la Corte di Appello ha valorizzato la ripetitività e la gravità del comportamento dell’imputata, nell’infierire su un minore, che già sarebbe in una situazione di elaborazione dell’evento traumatico per la separazione dei genitori.
Gli eventi sarebbero stati causa di gravi conseguenze per il minore, nello specifico, una spinta per motivi futili al figlio, a causa dell’urto contro un mobile, aveva causato allo stesso un taglio di 3 cm, mentre uno schiaffo, aveva provocato al minore delle escoriazioni al labbro che sono state dichiarate guaribili in tre giorni.
L’imputata invoca la tenuità del fatto
L’imputata nel ricorrere in Cassazione presenta le seguenti doglianze:
- Fa presente che la Corte ha omesso di valutare i contenuti di un provvedimento del 2016 da cui si evince la natura del rapporto tra lei e il teste e il teste e il figlio minore avuto insieme, da cui è possibile trarre elementi che possono mettere in dubbio l’attendibilità dell’ex compagno e padre del ragazzo, come anche le dichiarazioni del minore stesso.
- Contesta poi la sentenzadella Corte di appello nel punto in cui la ritiene responsabile delle sofferenze psichiche del ragazzo che la stessa ritiene siano attribuibili invece alla condotta del padre.
- Lamenta infine la mancata concessione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto non concessa a causa di una imprecisa valutazione dei giudici tra “abitualità” e ripetitività”.
La Cassazione conferma che schiaffi e spinte al figlio non si possono inquadrare nella tenuità invocata
La Cassazione, che dichiara pertanto il ricorso inammissibile, i primi tre motivi sono del tutto inammissibili perché il travisamento della prova doveva essere dedotto in appello, non potendo essere dedotto in Cassazione il vizio in quanto questione di merito. Infondato il motivo del ricorso che adduce l’errata applicazione dell’art. 192 che disciplina la valutazione della prova, quando si fonda su argomentazioni che non denunciano uno dei vizi previsti dalla lettera e) dell’art. 606 c.p.p ossia per motivazione assente, contraddittoria o illogica.Generiche le doglianze in merito all’imprecisa valutazione in Appello sulla abitualità/ripetetitività, in quanto la Corte di Appello ha ben motivato e argomentato le ragioni per le quali non ha potuto concedere la causa di non punibilità per la lieve entità del fatto. La Corte ha infatti tenuto conto della gravità e ripetitività delle condotte donna ai danni di un minore, tra l’altro sofferente per la separazione dei genitori e del fatto che l’omessa valutazione del provvedimento del 2016 non era stata rappresentata in sede di appello.
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Conclusioni
Da qui la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso e la condanna dell’imputata a pagare 3000 euro alla Cassa delle ammende.