Attenzione a fare i furbetti per la casa coniugale: i raggiri vengono a galla!

Se il marito “furbetto” contrae comodato con il padre per togliere la casa coniugale alla moglie in prossimità di separazione: è un abuso

La novità espressa dall’ordinanza della Cassazione n. 26541/2021, chiarisce che si configura come abuso di diritto contrarre un contratto di comodato per un immobile già da anni nella disponibilità del figlio e della moglie, in coincidenza con la crisi coniugale della coppia, al fine di sottrarre l’immobile alla donna e ai figli, assegnatole in sede giudiziale.

I fatti

In primo grado, non si riteneva cessato il comodato di un immobile contratto sei mesi prima tra padre e figlio. La Corte d’Appello tuttavia condanna la moglie di quest’ultimo a lasciare l’immobile, che gli è stato assegnato per viverci con i figli, dopo la separazione e il successivo divorzio e a pagare all’ex suocero la somma di 300 euro mensili, dalla domanda fino al rilascio, a cui vanno aggiunti gli interessi dalla sentenza al saldo.

Si ritiene perciò violato l’art. 1809 c.c. che disciplina la restituzione del bene in comodato. Poiché il matrimonio è venuto meno e l’immobile è stato stipulato per la durata di sei mesi e per le sole necessità del figlio e non di quelle familiari, una volta che il comodato è giunto a scadenza il bene deve essere restituito al comodante.

L’ex moglie ricorre in cassazione per il comodato

La ex moglie ricorre tuttavia in Cassazione sollevando i seguenti motivi:

  • Con il primo rileva che dall’impianto probatorio emerge in realtà la volontà di destinare l’immobile alle esigenze della famiglia. Non rileva, che come si legge nella contestata sentenza si legga che: “la consegna degli immobili viene effettuata dal comodante affinché il comodatario possa servirsi del bene ed utilizzarlo a suo piacimento” perché comunque deve essere fatta “salva la natura, la sostanza della cosa stessa e la sua naturale destinazione.” Ciò che la donna aggiunge è che il silenzio serbato dall’ex marito e dal suocero, sarebbe prova di una la chiara volontà di “utilizzare in modo strumentale atti leciti al fine di eludere il preesistente vincolo di destinazione alle esigenze del nucleo famigliare e della prole e di escludere la donna e i figli dalla detenzione qualificata dell’immobile.” La ricorrente a tal proposito, evidenzia di essere stata volutamente lasciata all’oscuro degli accordi del suocero e dell’ex marito fino al deposito del divorzio, solo in seguito il marito le ne ha fatto cenno. Ciò non toglie che i provvedimenti presidenziali hanno disposto che l’immobile le venisse assegnato per viverci con i figli ovvero destinato alla famiglia.
  • Con il secondo motivo contesta alla Corte di aver limitato il contratto di comodato all’ex marito, escludendo lei e i figli, con lui conviventi da prima dell’accordo quando la stessa è detentrice qualificata dell’immobile in virtù del provvedimento giudiziale di assegnazione, che ha cristallizzato, come sopra precisato, il vincolo di destinazione dell’immobile alla famiglia
  • Con il terzo motivo la ricorrente fa presente che la corte ha omesso i seguenti fatti decisivi: l’esistenza di un il vincolo di destinazione dell’immobile a casa familiare cherisale al 2010; che la crisi coniugale, ha coinciso con gli atti di disposizione dell’immobile da parte dell’ex marito e del suocero; che tali atti sono stati compiuti avendo cura di tenerla all’oscuro; che fino all’apertura del divorzio  l’uomo non ha mai contestato il comodato; che la richiesta di rilascio dell’immobile da parte del suocero è stata manifestate dopo due anni dalla presunta scadenza; ravvede inoltre a tal punto assenza di buona fede delle parti visto che il preliminare è stato stipulato nel 2015, oltre che di reale urgenza di vendere l’immobile libero dal comodato.

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La corte statuisce sulla casa coniugale

La Suprema Corte accoglie le doglianze ritenendo fondato il terzo motivo ed assorbendo gli altri. La Suprema Corte dichiara che: “la pratica utilità di tale complessiva operazione negoziale non altrimenti può percepirsi se non in funzione chiaramente elusiva del rischio che la già manifestatasi crisi coniugale, e la prevedibile assegnazione della casa coniugale al coniuge in sede di giudizio di separazione e poi di divorzio , ne facessero perdere disponibilità e godimento all’originario proprietario.” Prosegue inoltre che: “Si profila, dunque, un intento elusivo riconducibile ad ipotesi di abuso del diritto, la cui valutazione è esplicitamente quanto immotivatamente tralasciata in sentenza attraverso un improprio richiamo al principio della ragione più liquida.”. Inoltre: “L’abuso del diritto (…) lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l’utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore.”