L’insegnante insulta l’alunno: è reato di maltrattamento

L’insegnante non dovrebbe mai insultare un alunno, ma se lo fa costituisce grave reato: è maltrattamento di minore

La Vicenda

Gli insegnanti non dovrebbero mai perdere la pazienza con gli alunni, ma se ciò accade, si auspica sempre che non si degeneri in vere e proprie offese.

Nel contesto scolastico infatti, la condotta offensiva di un insegnante verso un alunno può anche configurare il reato di maltrattamento, specie se si tratta di minori di età.

Ma quando può configurarsi tale fattispecie?

Un triste esempio è stato fornito da un insegnante di scuola secondaria di primo grado (scuola media) che avrebbe umiliato ed offeso un alunno dodicenne, abitualmente apostrofandolo con epiteti e frasi oggettivamente scurrili quali “deficiente” “fetente” “vucca aperta”, nel senso di stolto, ed altro, in presenza di tutta la classe.

Di tale vicenda si è occupata la Suprema Corte

Sentenza n.3459 del 2020

Con sentenza n.3459 del 2020, la Suprema Corte di Cassazione ha enunciato il principio secondo cui “È configurabile il reato di maltrattamenti, e non il più lieve abuso di mezzi di correzione, per il professore che davanti alla classe qualifichi ripetutamente come “deficiente” un proprio alunno, peraltro con problemi psicologici.

L’articolo 571 del codice penale dispone: Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi.

Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni.

Diversamente, l’articolo 572 del codice penale dispone: Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi.

Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.

Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato.

La Corte ha quindi respinto il ricorso dell’insegnante contro la sentenza della Corte di appello che aveva confermato anche il risarcimento del danno per i genitori costituitisi parti civili, confermando quindi anche l’applicazione dell’art. 572 c.p.

Come argomenta la Corte

La Corte così argomenta la decisione: […]Nell’individuazione dei confini tra le fattispecie di cui agli artt. 571 e 572 c.p., particolarmente nell’ambito scolastico, questa stessa sezione della Corte di cassazione ha avuto modo di enunciare i seguenti principi di diritto, che si attagliano perfettamente al caso in rassegna e che, pertanto, il Collegio intende ribadire.

1) L’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, previsto e punito dall’art. 571 c.p., consiste nell’uso non appropriato di metodi, strumenti e, comunque, comportamenti correttivi od educativi, in via ordinaria consentiti dalla disciplina generale e di settore nonché dalla scienza pedagogica, quali, a mero titolo esemplificativo, l’esclusione temporanea dalle attività ludiche o didattiche, l’obbligo di condotte riparatorie, forme di rimprovero non riservate.

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2) L’uso di essi deve ritenersi appropriato, quando ricorrano entrambi i seguenti presupposti: a) la necessità dell’intervento correttivo, in conseguenza dell’inosservanza, da parte dell’alunno, dei doveri di comportamento su di lui gravanti; b) la proporzione tra tale violazione e l’intervento correttivo adottato, sotto il profilo del bene-interesse del destinatario su cui esso incide e della compressione che ne determina.

3) Qualsiasi forma di violenza, sia essa fisica che psicologica, non costituisce mezzo di correzione o di disciplina, neanche se posta in essere a scopo educativo; e, qualora di essa si faccia uso sistematico, quale ordinario trattamento del minore affidato, la condotta non rientra nella fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, bensì, in presenza degli altri presupposti di legge, in quella di maltrattamenti, ai sensi dell’art. 572 c.p.(Sez. 6, n. 11777 del 21/01/2020, P., Rv. 278744).