La differenza tra l’ISC dichiarato nel contratto e quello effettivamente applicato non è causa di nullità del mutuo né della relativa clausola
Il quadro normativo di riferimento è sancito dagli artt. 116 e 117 TUB, che prevedono per le Banche l’obbligo di pubblicizzare in modo chiaro le condizioni economiche applicate alla propria clientela. Lo stesso art. 116, comma 3 TUB demanda poi al CICR il compito di individuare più precisamente il perimetro degli obblighi informativi in capo agli istituti di credito.
Il CICR, con delibera del 4 marzo 2003, ha poi demandato alla Banca d’Italia il compito di individuare le tipologie di contratti per le quali la Banche devono riportare espressamente l’indicatore sintetico di costo, nonché determinare puntualmente quali voci debbano essere ricomprese e le modalità con cui l’ISC debba essere calcolato.
La Banca d’Italia, a completamento della normativa sopra menzionata, ha provveduto a disciplinare l’ISC nell’ambito del Titolo X delle proprie Istruzioni di vigilanza, per poi emanare – con provvedimento autonomo – le disposizioni sulla «Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari» (Provvedimento del 29 luglio 2009, così come successivamente integrato dal Provvedimento del 9 febbraio 2011).
Secondo il citato provvedimento, i finanziamenti (intesi come operazioni di mutuo, anticipazioni bancarie, aperture di credito in conto corrente, nonché i prestiti personali e i prestiti c.d. “finalizzati”) devono riportare tanto nel foglio illustrativo quanto nel documento di sintesi l’ISC, calcolato secondo la formula prevista dalla Banca d’Italia per il TAEG [1].
Sulla scorta di tale apparato normativo, la giurisprudenza si era in passato rivelata costante nel ritenere che la difformità tra l’ISC indicato in contratto e il TAEG effettivamente applicato avesse quale conseguenza diretta l’invalidità sancita espressamente dall’art. 117 TUB.
A tal proposito, spiccavano in particolare due pronunce, citate e allegate da controparte, emesse dal Tribunale di Napoli e dal Tribunale di Chieti (Trib. Napoli, 25 maggio 2015, n. 77, Trib. Chieti, 23 aprile 2015, n. 230), le quali avevano rispettivamente chiarito quali fossero gli effetti della mancata indicazione dell’ISC ovvero di una sua erronea determinazione nell’ambito del contratto.
In particolare, i giudici de Tribunale di Napoli avevano ritenuto la mancata indicazione dell’ISC fosse idonea a integrare la fattispecie di cui all’art. 117, comma 8 TUB che, come noto, sanziona con la nullità del contratto il mancato rispetto del contenuto tipico determinato dalla Banca d’Italia con riferimento a particolari tipologie contrattuali.
Secondo il Tribunale di Napoli, tale sanzione risulterebbe peraltro giustificata dal fatto che il calcolo dell’ISC non consiste in una semplice somma algebrica di fattori riportati nel contratto, ma impone invece di fare riferimento alla formula matematica per la determinazione del TAEG e, quindi, a un elemento che il cliente non è in grado di desumere autonomamente dal contratto.
Il Tribunale di Chieti, invece, aveva ritenuto che l’indicazione nel contratto di un ISC inferiore rispetto al TAEG costituisse una violazione di quanto disposto dall’art. 117, comma 6 TUB, ai sensi del quale sono da ritenersi nulle quelle clausole che prevedono per i clienti condizioni economiche più sfavorevoli di quelle pubblicizzate. In altri termini, se l’ISC indicato nel contratto si discosta dal TAEG, ciò comporta che l’istituto di credito stia applicando al cliente un tasso di interesse “effettivo” più alto di quello riportato nel contratto, con ciò determinando la nullità della clausola relativa agli interessi e, conseguentemente, la necessità di applicare – in sostituzione del tasso dichiarato nullo – il tasso nominale dei buoni ordinari del tesoro ai sensi dell’art. 117, comma 7 TUB.
Pur con percorsi argomentativi differenti, quindi, la giurisprudenza di merito aveva in passato ritenuto di sanzionare con l’invalidità (della clausola o del contratto) l’eventuale violazione da parte della Banca dell’obbligo di riportare l’ISC nel documento di sintesi (violazione che può concretarsi tanto nella sua mancata indicazione, quanto nella sua erronea quantificazione).
Il Tribunale di Milano (Tribunale di Milano, 26 ottobre 2017, n. 10832) ha invece adottato una soluzione opposta.
In particolare, l’argomentazione resa nel provvedimento del suddetto Tribunale, prende le mosse da un’attenta analisi dell’impianto normativo esistente, nel quale non è possibile rintracciare espressamente la sanzione dell’invalidità per la fattispecie in questione.
Tra l’altro, una simile sanzione è prevista dal legislatore solo per il caso del credito al consumo, nell’ambito della cui disciplina l’art. 125-bis, comma 6 TUB espressamente prevede che, nel caso in cui il TAEG indicato nel contratto non sia stato determinato correttamente, le clausole che impongono al consumatore costi aggiuntivi (rispetto a quelli effettivamente computati nell’ISC) sono da considerarsi nulle.
È quindi evidente che, qualora il legislatore avesse voluto sanzionare con la nullità la difformità tra ISC e TAEG nell’ambito di operazioni diverse dal credito al consumo, allora lo avrebbe espressamente previsto con una norma dal tenore analogo a quella di cui all’art. 125-bis, comma 6 TUB.
Una simile previsione, tuttavia, non si rinviene nell’ambito dell’art. 117 TUB e, pertanto, se ne deve dedurre che, a norma di detto ultimo articolo, l’erronea indicazione dell’ISC non determini nessuna incertezza sul contenuto effettivo del contratto stipulato e del tasso di interesse effettivamente pattuito.
Fonte esclusiva di responsabilità della Banca
Secondo il Tribunale di Milano, quindi, la violazione dell’obbligo pubblicitario perpetrata dalla Banca mediante l’erronea quantificazione dell’ISC non è suscettibile di determinare alcuna invalidità del contratto di mutuo (né tantomeno della sola clausola relativa agli interessi), ma può configurarsi unicamente come illecito e, in quanto tale, essere fonte di responsabilità contrattuale della Banca.
Anche il Tribunale di Roma (Trib. Roma, 19 aprile 2017), infatti, ha recentemente ritenuto che l’ISC non rappresenti una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, ma svolga unicamente una funzione informativa finalizzata a mettere il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi. L’erronea quantificazione dell’ISC, quindi, non potrebbe comportare una maggiore onerosità del finanziamento (non mettendo in discussione la determinazione delle singole clausole contrattuali che fissano i tassi di interesse e gli altri oneri a carico del mutuatario) e, conseguentemente, non renderebbe applicabile a tale situazione quanto disposto dall’art. 117, comma 6 TUB.