Oltre alla Chiesa anche il codice penale deve punire il sacerdote abusatore

Il sacerdote può essere punito dal sistema penale anche se ha già subito giudizio canonico per lo stesso reato

Niente ne bis in idem per sacerdote che deve essere giudicato dal sistema penale

Chiaro principio espresso nella sentenza n. 34576/2021 della Cassazione.
Un sacerdote che sia già stato giudicato dall’autorità ecclesiastica competente e che abbia anche già scontato le pene irrogate non è esente dal dover affrontare il giudizio dello Stato Italiano che ha così piena facoltà di sottoporlo a giudizio penale. Per il reato di atti sessuali con un minore di anni sedici esiste una fattispecie delittuosa prevista dal nostro ordinamento per cui l’autorità giudiziaria dello Stato italiano non è ostacolata dal principio del ne bis in idem.
Un prete viene condannato anche in sede di appello per il reato di cui all’art. 609 quater c.p per aver posto in essere atti sessuali nei confronti di un sedicenne che gli è stato affidato per impartirgli un’educazione religiosa.

Il sacerdote ricorre in Cassazione 

L’imputato in questione, un sacerdote accusato per atti sessuali ai danni di minorenni, ricorrere in Cassazione esprime diverse doglianze, tra le quali quelle di natura preliminare contestano la violazione del ne bis in idem. Lo stesso fa presente infatti di essere già stato giudicato per gli stessi fatti puniti anche dal diritto canonico e di avere già espiato le pene inflitte, ovvero il divieto di esercizio del ministero sacerdotale in perpetuo con minori di età, la sospensione del ministero sacerdotale per un termine di tre anni e obbligo di dimora per un periodo di cinque anni presso una struttura residenziale.

Secondo quanto si argomenta, occorrerebbe cassare le decisioni sulla base dei rapporti tra lo Stato italiano e la Santa Sede, che sono stati regolati da accordi di reciprocità che giustificherebbero il ne bis in idem. Si afferma inoltre che alle sentenze emesse dai Tribunali della Città del Vaticano devono applicarsi anche le norme di diritto internazionali vigenti nello Stato italiano proprio in merito. Ai fini del ne bis in idem si fa valere il decreto dell’autorità ecclesiastica che configura l’identità sostanziale dell’illecito commesso.

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Il rigetto della Cassazione ribadisce che il sistema penale può e deve intervenire sul sacerdote

La Cassazione rigetta il ricorso perché non reggono né i motivi sollevati sulla questione preliminari del ne bis in idem né su quelle che riguardano il merito che erano invece finalizzate fondamentalmente a ottenere una diversa valutazione delle prove e dei fatti, che non rileva in sede di legittimità alla quale è legata la Cassazione.
La Cassazione asserisce che “gli ambiti giurisdizionali da porre nella specie a raffronto tra loro al fine di valutare l’eccezione difensiva, sono costituiti, da un lato, dalla giurisdizione canonica, cui il chierico è assoggettato in ragione del suo status clericale, e, dall’altro, dalla giurisdizione statuale (nella specie quella italiana), cui egli è invece assoggettato in ragione del suo status civitatis (essendo l’imputato cittadino italiano cui è rimproverato un fatto-reato commesso in Italia).”. Si nega la superiorità del principio del ne bis in idem sul principio di territorialità sancito dagli articoli 6 e 11 del codice penale, poiché lo stesso può trovare applicazione solo in presenza di trattati e convenzioni vincolanti, solo per i paesi contraenti e nei limiti dell’accordo raggiunto. Si afferma che “l’ordinamento italiano, come quelli della maggior parte degli Stati moderni, si ispira ai principi della territorialità ed obbligatorietà generale della legge penale. Né potrebbe, il principio del ne bis in idem, essere ritenuto nella specie operativo per effetto di accordi, tra la Santa Sede e l’Italia, o di convenzioni cui entrambe abbiano aderito e che, come già detto, sarebbero necessari proprio a fronte dell’assenza di un principio internazionalmente riconosciuto in tal senso.”

Conclusioni

La Cassazione conclude che”nulla osta a che il chierico, giudicato in sede canonica per il reato di cui all’art. 609-quater cod. pen., possa essere giudicato per lo stesso fatto anche dalla giurisdizione statale.”