Parlare male del proprio datore di lavoro può essere motivo di licenziamento. In certi casi invece è permesso

Capita spessissimo che si parli male del proprio capo o della propria azienda. Ciò sia tra colleghi sia con amici. Tale comportamento può però essere motivo di licenziamento poiché, se criticare è lecito, offendere non lo è.
Quindi non posso parlare del mio capo?
Non è proprio così. In sostanza si ritiene che chi offende il proprio datore di lavoro possa essere oggetto di licenziamento oltre che querelato,
Non sempre la distinzione tra critica e offesa è chiaro però poiché nei casi di maggior stress per il lavoratore – ad esempio in caso di mancato pagamento, o di straordinari fissi, etc – è stato dichiarato lecito dalla Cassazione per i lavoratori dire parolacce o simili nei confronti del proprio datore di lavoro. Ciò in ragione della situazione particolare in cui si trova il lavoratore e che lo “giustifica” ad avere tali comportamenti nei confronti del datore di lavoro, come se si trattasse di provocazione.
Cosa dice la Cassazione in merito?
Ad esempio, la Cassazione ha ritenuto perdonabili le reazioni polemiche e violente a un comportamento ingiusto del datore di lavoro. Il clima teso e le minacce di un licenziamento o di una riduzione dello stipendio o di una sanzione ingiusta possono dar luogo a una ritorsione istintiva del lavoratore che viene ritenuto giustificato in un contesto arrivato ormai ai ferri corti.
Se il richiamo del datore è eccessivo è naturale attendersi una reazione: non è obbligo del dipendente essere sottomesso e accettare anche gli abusi.
E se anche la reazione è superiore alla causa che l’ha giustificata – come nel caso del dipendente che utilizzi parole di minaccia – c’è comunque la causa di giustificazione della provocazione