Se l’imputato subisce una ingiusta detenzione può avere diritto all’indennizzo anche quando si verificano determinate situazioni. Ecco quali
La sentenza della Cassazione conferma l’indennizzo
La Cassazione penale sezione IV con la sentenza n. 34367/2021 sottolinea, dopo una ampia disamina dei principi giurisprudenziali, che la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo per l’ingiusta detenzione si deve concretizzare in comportamenti specifici “addebitabili all’interessato” e nella indicazione puntuale ed analitica su come tali comportamenti abbiano inciso sull’evento detenzione. L’esercizio del diritto di non rispondere non osta all’indennizzo.
La vicenda e l’ingiusta detenzione
La vicenda esaminata dalla Suprema Corte riguarda il rigetto di una domanda di riparazione per ingiusta detenzione da parte della Corte di appello di Bologna.
L’interessato aveva subito la carcerazione per la durata di quattro mesi per poi essere assolto dal Gup del tribunale Felsineo con la formula “per non aver commesso il fatto” all’esito del giudizio abbreviato. Il ricorrente presentava nei termini la domanda di indennizzo che la Corte di appello respingeva sul presupposto di ritenere “connotato da colpa grave il comportamento dell’imputato per essersi avvalso della facoltà di non rispondere”.
La pronuncia della Suprema Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza della Corte di appello di Bologna rilevando che:” La condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo per l’ingiusta detenzione, rappresentata dall’aver dato causa, da parte del richiedente, all’ingiusta detenzione, deve concretizzarsi, dunque, in comportamenti che non siano stati esclusi dal giudice della cognizione e che possono essere, come si è visto (nei “considerata in diritto”), di due tipi: extra-processuale (nel caso di specie non evidenziati dalla Corte di appello di Bologna) ovvero processuale (la Corte territoriale alla base del rigetto il silenzio su di un alibi): ed appunto sugli elementi costitutivi della colpa grave così determinati, il giudice è tenuto sia ad indicare gli specifici comportamenti addebitabili all’interessato sia a motivare in che modo tali comportamenti abbiano inciso sull’evento detenzione.
Ed è appunto sotto i profili della individuazione degli specifici comportamenti addebitabili all’interessato e della spiegazione di come tali comportamenti abbiano inciso sull’evento detenzione che il provvedimento impugnato non resiste alle censure difensive. La Corte territoriale, infatti non si è attenuta ai consolidati principi di cui si è detto, ipotizzando una condotta colposa sinergica alla detenzione cautelare, condotta che, però, appare alquanto vaga nei suoi contorni fattuali e nei suoi fondamenti probatori.
L’unico elemento valorizzato nell’ordinanza impugnata per giustificare il rigetto (ossia il silenzio tenuto nell’interrogatorio dall’indagato) non consente di ricavare certezza processuale circa l’esistenza di un atteggiamento di colposa inerzia o altro dell’indagato suscettibile di essere considerato ostativo alla chiesta riparazione né tanto meno di comprenderne in termini più precisi l’effettiva consistenza.
In particolare, la Corte di appello, che non ha preso in considerazione, nemmeno per escluderle, eventuali condotte extraprocessuali, ha omesso di individuare e di indicare le circostanze di fatto che l’indagato avrebbe potuto e soprattutto, nella prospettiva propria della riparazione, avrebbe dovuto dichiarare nell’interrogatorio, facendo esclusivamente un generico riferimento ad un “alibi che avrebbe potuto scagionarlo”; in realtà, nella_sentenza del G.u.p. di Bologna del 30 gennaio 2020 l’imputato non viene assolto in ragione di un alibi …”.
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Le norme giuridiche sull’indennizzo per ingiusta detenzione
Secondo la disciplina dell’istituto ex art. 314 cod. proc. pen. enucleati dalla Corte di cassazione richiamando direttamente le Sezioni Unite in tale discussione.
Ebbene, l’equa riparazione per l’ingiusta detenzione è esclusa, secondo l’espresso disposto dell’art. 314 cod. proc. pen., qualora l’istante “vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”, con condotte al riguardo apprezzabili poste in essere sia anteriormente che successivamente all’insorgere dello stato detentivo e, quindi, alla privazione della libertà (Cass., Sez. Unite, n. 43 del 1995), puntualizzando anche che l’indennizzo in questione si risolve “nell’attribuzione di una somma di denaro a riparazione di un pregiudizio lecitamente arrecato, in contrapposizione al risarcimento del danno sempre riferibile ad un fattore causale illecito”. Emerge inoltre, che la valutazione del giudice della riparazione, si svolge su di un piano diverso, ossia in autonomia rispetto a quello del giudice della cognizione penale, pur intervenendo sulla stessa questione e risorse probatorie: tale ultimo giudice deve valutare la sussistenza o meno di un’ipotesi di reato ed eventualmente la sua riconducibilità all’imputato; il primo, invece, deve valutare non già non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma “se esse si posero come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione” […] Il rapporto tra giudizio penale e giudizio della riparazione si risolve solo nel condizionamento del primo rispetto al presupposto dell’altro […] spettando al giudice della riparazione una serie di accertamenti e valutazioni da condurre in piena autonomia e con l’ausilio dei criteri propri all’azione esercitata dalla parte”.
In particolare, “In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice della riparazione, per decidere se l’imputato vi abbia dato causa per dolo o colpa grave, deve valutare il comportamento dell’interessato alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione” (Sez. IV, n. 41396/2016).
Della decisione sulla ingiusta detenzione il giudice del merito ha, naturalmente, l’obbligo di dare adeguata ed esaustiva motivazione, strutturata secondo le corrette regole della logica: il mancato assolvimento di tale obbligo in termini di adeguatezza, congruità e logicità è censurabile in Cassazione.
L’orientamento giurisprudenziale
In conclusione, in mancanza di asserzioni da parte dell’imputato, di reticenza e/o menzogna si può considerare che esse sussistano come modalità e relativi strumenti dell’esercizio concreto del diritto di difesa e pertanto non ostano al riconoscimento all’indennizzo per ingiusta detenzione.