Cosa accade se la moglie “posseduta” provoca sconvolgimenti gravi alla vita matrimoniale e viola gli obblighi del coniugio
Il principio di diritto
In assenza di imputabilità soggettiva dei comportamenti recriminati al coniuge, non si può riconoscere un addebito della separazione personale tra i coniugi stessi. L’intollerabilità della convivenza, resasi tale a causa della condotta tenuta dal marito/moglie, non costituisce elemento rilevante di per se ai fini del riconoscimento dell’addebito.
L’addebito per la moglie “posseduta” dal demonio
E’ quanto lamentato da un uomo, la quale moglie aveva iniziato ad avere condotte ossessive nei confronti della religione. Alla stessa erano state praticate i riti di esorcismo, a seguito di atti che esprimevano un grave turbamento della stessa e aggressività. Gli atti, ravvisati dal marito come un grave inadempimento degli obblighi coniugali avevano inoltre reso intollerabile la convivenza, pertanto l’uomo si era rivolto al tribunale instaurando un procedimento per ottenere la separazione personale tra i coniugi con addebito alla moglie “indemoniata”.
Secondo quanto esposto dal marito, dal 2007, la donna avrebbe cominciato ad avere crisi caratterizzate da violente convulsioni, tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza. Nello specifico, a seguito di tali eventi, avrebbe violato gravemente gli obblighi coniugali secondo l’uomo poichè si era dedicata in maniera ossessiva alla preghiera, alla celebrazione della comunione tutti i giorni, alla frequentazione sistematica di un frate, a continui pellegrinaggi, e all’uso quotidiano di un saio. Essa aveva, inoltre, preso il triplice voto di povertà e obbedienza e castità, incompatibile con il regolare svolgimento della vita coniugale.
La moglie posseduta non giustifica l’addebito secondo il Tribunale
Il Tribunale di Milano, chiamato a statuire sulla vicenda emette la sentenza di merito il 18 gennaio 2017, ove chiarisce che la domanda di addebito alla moglie deve essere respinta per difetto del requisito dell’imputabilità soggettiva delle condotte.
I giudici di Milano non hanno provveduto all’accertamento della natura di tali condotte ma, a prescindere dalla causa e dalla natura del malessere della moglie, questo ha sicuramente provocato tremende sofferenze non direttamente volute come conseguenza diretta delle proprie scelte di vita. La spiritualizzazione della donna si era avuta a seguito di quanto patito e pertanto anche se consapevolmente compiuti, gli atti di susseguente intensificazione della pratica religiosa, sarebbero l’effetto e non la causa di patimenti invece non volontariamente scelti. Come già pronunciato dalla Cassazione infatti: “la dichiarazione di addebito della separazione implica l’imputabilità al coniuge del comportamento, volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri del matrimonio”(Cass.Civ. 25843/2013).
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Non imputabiltà del fallimento alla moglie
Si rileva inoltre che la donna, si era recata anche da un medico per sottoporsi ad una valutazione psichiatrica, dalla quale però non era emersa alcuna patologia tale da poter spiegare i fenomeni osservati. Il susseguirsi degli eventi ha legittimato una serie di reazioni del marito, tra cui il controllo sul comportamento della moglie, ma i comportamenti del marito non possono essere interpretati come violenze morali in danno della moglie. Egli ha tentato di limitare i contatti con quelle persone, che riteneva responsabili della deviazione della moglie.