Stalking virtuale: assolutamente applicabili le misure cautelari

Se il coniuge separato innesca una serie di atti persecutori manifestati tramite mezzi di comunicazione è stalking

La Cassazione stabilisce la legittimità dell’applicazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento nei confronti dell’ex marito che veniva indagato per stalking nei confronti della moglie. E’ quanto stabilito nella sentenza 21693/2018 della quinta sezione penale  che  inquadra i minacciosi e insistenti messaggi inviati alla ex sul cellulare tramite diversi canali di comunicazione, in un crescendo di persecuzione dopo che era intervenuta la separazione.

Ordinanza del GIP contro gli atti di stalking

L’impianto probatorio costruito con la raccolta degli indizi ex art. 273 c.p.p., non viene minimamente intaccato dal fatto che alle minacce non sia mai seguito alcun tentativo di avvicinamento o di aggressione. L’ordinanza, con cui il G.I.P. aveva applicato all’ex marito la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla moglie, era stata confermata dal Tribunale del Riesame.

Il marito impugna il provvedimento

L’imputato aveva impugnato così il provvedimento, rilevando come le minacce lui ascritte non si erano mai concretizzate e si sarebbe comunque trattato di un episodio isolato risalente a un anno e sette mesi prima dall’adozione della misura cautelare.

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Minacce “virtuali”? Legittimo l’allontanamento dell’ex indagato per stalking

Per la Suprema Corte, il ricorso è inammissibile: l’ordinanza impugnata, infatti, sulla scorta dei dati indiziari tratti dal racconto della persona offesa, ha ripercorso i fatti in maniera chiara e con la testimonianza credibile della vittima stessa.

Tra i messaggi ad esempio si prospettava “un macello” qualora l’indagato si fosse accorto che il figlio si trovava insieme con la persona offesa e con “quell’altro” (la donna si era rifatta una vita), fin anche a minacciare di “dare fuoco”. E’ chiaro come nella persona offesa fosse stato incusso timore e stato di agitazione a causa delle suddette frasi.

Manifestamente infondata, dunque, è la deduzione che le minacce non si siano “concretizzate”, ossia non siano state accompagnate da reati ulteriori rispetto a quello di atti persecutori contestato.

Il Tribunale del riesame, infatti, ha argomentato circa l‘aggravamento della condotta persecutoria successivamente alla separazione e alla conoscenza, in capo all’indagato, della nuova relazione instaurata dalla ex moglie.

Il ricorso infine va rigettato in toto anche per la manifesta infondatezza delle doglianze relative al presupposto cautelare, in quanto l’ordinanza impugnata ha dato conto dell’attualità del pericolo e il rischio della reiterazione.