“Ragazzì mo ti buco il pallone”: non è violenza nè stalking

Se il vicino sgrida i bambini che giocano a calcio nel cortile e buca loro il pallone non è violenza privata o atto persecutorio

C’era una volta un simpatico spot pubblicitario dove uno scanzonato signore di mezza età si affacciava dal balcone di un appartamento verso il cortile e, con accento marcatamente romano esca lamava: “Ah ragazzì, mo’ vo’ buco er pallone!”. Oltre l’immagine caratteristica c’è l’emblema della lotta goliardica tra ragazzi che giocano allegramente per strada o nel cortile inneggiando alla loro libertà tipica della loro età e condomini infastiditi.

Se il vicino ti buca il pallone…

Eppure questo simpatico siparietto è l’argomento di una sentenza emessa dalla Corte di Cassazione. Un uomo che minacciava un gruppo di ragazzi che giocava al pallone nel cortile condominiale. Questi, stanco di ripetere continuamente di smetterla di giocare nel cortile, un bel dì con un coltello aveva tagliato il loro pallone.

La vicenda 

La vicenda finisce in Tribunale dove l’uomo veniva prima condannato per stalking poichè il suo comportamento veniva dapprima qualificato come atto una persecutorio mentre successivamente, in sede d’Appello inquadrato come violenza privata.

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In Cassazione 

La questione pertanto viene portata dall’uomo innanzi alla Corte di Cassazione, al fine di far valere le proprie doglianze sulla valutazione della sua condotta in sede giudiziale: infatti questi asserisce innanzi agli Ermellini che il suo era un modo per a far rispettare il regolamento condominiale che prevedeva il divieto di giocare a pallone durante certi orari della giornata e faceva presente che i ragazzini non avevano nessuna paura di lui poichè nonostante le continue lamentele questi non hanno mai smesso di giocare.

La Cassazione stabilisce che chi buca il pallone ai “piccoli disturbatori” non commette reato

I magistrati, nella sentenza 1786/2016, postulano pertanto che “attinga la soglia del penalmente rilevante, però, la violenza o la minaccia deve determinare una perdita o riduzione sensibile, da parte del soggetto passivo, della capacità di determinarsi ed agire secondo la propria volontà“.

Pertanto, prosegue la Corte che “non ogni forma di violenza o minaccia riconduce alla fattispecie dell’art. 610 c.p., ma solo quella idonea – in base alla circostanze concrete – a limitare la libertà di movimento della vittima o influenzare significativamente il processo di formazione della volontà, incidendo su interessi sensibili del coartato“.