Non sempre il rapporto di lavoro viene instaurato formalmente con chi è di fatto il vero datore di lavoro. In questo caso si parla di appalto illecito di manodopera.

Cos’è l’appalto?
Il codice civile nel definire, all’art.1665, l’appalto come il contratto con il quale una parte assume con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro, individua quelli che sono gli elementi tipici di tale contratto. Tali elementi sono: il compimento di un’opera o di un servizio, l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’impresa, l’assunzione del rischio di impresa da parte di quest’ultima ed il pagamento di un corrispettivo da parte del committente (Cass. Civ. n. 14302/12, n.3681/10).
L’organizzazione dei mezzi rinvia evidentemente alla nozione e alla presenza di un’impresa intesa come una combinazione di vari fattori della produzione che da soli non raggiungerebbero alcun risultato. Pertanto detta entità deve essere intesa come unione armonica e finalizzata alla produzione di vari elementi tipici di un’attività imprenditoriale, quali i finanziamenti, gli acquisti, i noleggi, l’assunzione del personale, la gestione e l’interazione tra loro di tali elementi.
Per rischio deve intendersi quello economico nel senso che al momento della conclusione del contratto, infatti, l’appaltatore non è per lo più in grado di conoscere con esattezza il costo dell’opera o del servizio che si obbliga a fornire al committente e quindi determinando fin da tale momento il corrispettivo del suo lavoro si accolla il rischio di un mancato o ridotto guadagno rispetto alle sue previsioni iniziali.
In merito all’autonomia dell’appaltatore, la giurisprudenza costante riconosce che detto aspetto più di ogni altro differenzia l’appalto dal lavoro subordinato, sebbene infatti detta autonomia può in realtà essere variata e compressa in funzione di poteri di controllo più o meno pregnanti del committente, non può in ogni caso essere eliminata del tutto come avviene con invece nel rapporto di lavoro subordinato (Cass. Civ. n.4271/09; n.9264/08; n.16016/97).
Cos’è il contratto di appalto illecito?
Laddove sia il committente ad impartire direttamente ai lavoratori le istruzioni e le modalità operative per lo svolgimento delle prestazioni dedotte in contratto e per di più ne controlla puntualmente e nel dettaglio la corretta esecuzione, ci si trova verosimilmente di fronte ad un contratto di appalto illegittimo. Infatti, tale contratto è teso a nascondere un appalto di mero lavoro effettuato al di fuori delle modalità tipiche della somministrazione di lavoro non essendo state rispettate le condizioni di cui all’art.30 d.lgs n.276/03, come modificato dal d.lgs. 81/15.
Ricorre quindi un’ipotesi di interposizione illecita di manodopera ogni qualvolta l’organizzazione imprenditoriale dell’appaltatore si esaurisca nella mera gestione del personale senza che la stessa fornisca un autonomo risultato positivo (Cass. Civ. 30.10.2002, n.15337).
Nel complesso emerge allora che valore decisivo per la qualificazione della fattispecie in termini di appalto assume l’elemento dell’organizzazione del committente e quindi l’effettiva ed esclusiva utilizzazione dell’attività svolta dal dipendente.

Quali sono le conseguenze dell’accertamento?
In questi casi si realizza in concreto un’ipotesi di appalto illecito con finalità di interposizione fittizia di manodopera, dal cui riconoscimento consegue, secondo quanto statuito dall’art. 29 d. lgs. n.276/2003, cosi come modificato dal d. lgs. 81/2015, il diritto del lavoratore di richiedere in via giudiziale la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del reale utilizzatore.
Cosa dice la Corte di Cassazione?
La Corte di Cassazione, intervenuta sul tema, ha precisato che il fenomeno dell’interposizione illecita di manodopera sussiste tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa rimanendo in capo all’appaltatore i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto di lavoro del dipendente quali la retribuzione, pianificazione ferie, assicurazione della continuità della prestazione, senza alcuna ingerenza circa le modalità esecutive della prestazione lavorativa e dunque senza una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo (Cass. Civ. n.11720/09; n.7898/11; n.19920/11; n.16788/06).
Ci sono altre conseguenze?
Il lavoratore in conseguenza dell’accertata e irregolarità della somministrazione hs altresì diritto al risarcimento del danno rappresentato da un’indennità omnicomprensiva nella misura compresa tra 2,5 e 12 mensilità ex art. 39 d. lgs. 81/15.
Infatti, nel caso in cui il lavoratore chieda la costituzione del rapporto di lavoro con l’utilizzatore, ai sensi dell’articolo 38, comma 2, trovano applicazione le disposizioni dell’articolo 6 della legge n. 604 del 1966, e il termine di cui al primo comma del predetto articolo decorre dalla data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l’utilizzatore il quale dispone che nel caso in cui il giudice accolga la domanda di cui al comma 1, condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno in favore del lavoratore, stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge n. 604 del 1966.
L’esame della giurisprudenza di legittimità in materia di appalto di manodopera consente di cogliere un elemento comune rappresentato sostanzialmente dal rilievo che l’appalto è illecito tutte le volte in cui non è l’appaltatore a gestire concretamente il rapporto di lavoro bensì l’appaltante (Cass. Civ. n.11120/06; n.14996/05).
I lavoratori dell’appaltatore non devono prendere ordini da soggetti diversi dell’appaltatore stesso, nè debbono essere soggetti al potere direttivo e di controllo del committente o di un suo dipendente. Non possono quindi essere allontanati, né sanzionati dal committente che non può in sostanza sostituirsi all’appaltatore riducendolo a mera entità di trasmissione delle proprie direttive non potendo per esempio decidere volta per volta il numero di lavoratori da utilizzare.

Altre pronunce?
Il Tribunale di Roma, al riguardo con la sentenza n. 1118, del 24.11.2016, d.ssa Tramentozzi A., ha evidenziato come ai fini della genuinità dell’appalto preminente è verificare la sottoposizione del prestatore d’opera ad un potere disciplinare e sanzionatorio del datore di lavoro considerandosi come tale chi di fatto lo esercita.
La Suprema Corte ha posto l’accento sulla possibilità di verifica e controllo diretto da parte del committente e sull’ingerenza nell’organizzazione del servizio e pertanto si avrà un appalto illecito se si riscontrano gli indici che di seguito si precisano:
- c’è similitudine di orario tra i dipendenti dell’appaltatore e quelli dell’appaltante;
- il pagamento delle retribuzioni è effettuato dal committente;
- la richiesta delle ferie e permessi è presentata dall’appaltante che decide se concederli;
- i preposti dell’appaltante controllano direttamente i dipendenti;
- la scelta del numero di persone da impiegare nell’appalto è rimessa solo al committente;
- il controllo degli adempimenti dell’appaltatore è fatto dal committente (in tal senso la Corte di Cassazione 27 novembre 2012 n.21030).