Il parco avventura può rispettare tutte le norme tecniche e di gestione, ma può accadere un incidente: a che titolo la responsabilità del gestore? e spetta a lui il risarcimento danni?
Liberatoria, assicurazione, certificazioni
In considerazione della connaturale presenza di rischi nelle attività ludiche presenti all’interno del parco avventura, gli utenti sono invitati a rilasciare preventivamente una dichiarazione di assunzione di responsabilità per possibili infortuni a se stessi, teoricamente sempre possibili.
Tale “liberatoria” è sufficiente affinché possa escludersi la responsabilità del gestore del Parco?
La clausola di esonero di responsabilità deve ritenersi nulla, in quanto derogatoria del regime applicabile, in senso del tutto sfavorevole alla parte che potrebbe risultare danneggiata, in quanto nel caso dovrebbe provare profili di natura dolosa o di colpa grave del gestore del parco.
Il Parco avventura deve avere una assicurazione per la Responsabilità civile verso Terzi e rispettare le norme tecniche EN 15567 parte 1 e parte 2 oltre alla EN 17109:2020 e tutte le prescrizioni previste.
La certificazione che garantisca che l’impianto sia stato realizzato in sicurezza, le cui norme vengono indicate in EN15567, garantisce all’imprenditore eventuali responsabilità civili e penali nei confronti degli utenti e ne garantisce agli stessi la sicurezza. Prima dell’inizio dell’attività è necessario ottenere una certificazione di conformità alla norma da parte di un organismo ispettivo. La verifica del rispetto delle misure di sicurezza previste va ripetuta con cadenza annuale.
La norma 15567 parte 2 quali sono i compiti a cui deve assolvere l’Istruttore di Parco Avventura: “Persona che è stata addestrata per eseguire le seguenti mansioni: fornire le informazioni necessarie per assicurare che l’attrezzatura e gli elementi siano utilizzati correttamente, verificare che i partecipanti utilizzino l’attrezzatura corretta, valutare l’autosufficienza di una persona su un percorso acrobatico di prova, assicurare che le istruzioni di sicurezza siano seguite scrupolosamente, avvisare un soccorritore in caso di necessità , fornire assistenza ai partecipanti”.
Il Parco può essere in regola con tutte le prescrizioni, ma ciò non esclude che possa verificarsi un incidente.
La responsabilità del gestore del Parco
Il gestore del Parco, nonostante il rispetto di tutte le cautele e dei requisiti previsti per l’attività intrapresa può essere convenuto in giudizio, in caso di lesioni da parte di un utilizzatore del Parco per il risarcimento danni subiti in seguito di sinistro avvenuto mentre svolgeva il percorso acrobatico.
Inquadramento giuridico dell’azione di risarcimento
Il Tribunale di Termini Imerese (sentenza n. 88 del 29.02.2020) , in una fattispecie relativa alla caduta con lesioni di un minore all’interno del parco avventura ha ricondotto la domanda proposta dagli attori nell’alveo dell’articolo 2050 c.c.
La giurisprudenza intende per “attività pericolose” ai sensi dell’art. 2050 cod. civ., non solo quelle che tali sono qualificate dalla T.U.L.P.S. o da altre leggi speciali, ma anche quelle che, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati, comportino la rilevante possibilità del verificarsi di un danno per la loro spiccata potenzialità offensiva.
In quest’ultimo caso è il giudice di merito che dovrà stabilire se una determinata attività sia in concreto da qualificarsi pericolosa sulla base di tutti gli elementi di fatto acquisiti al processo e decidere anche in base a nozioni di comune esperienza.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso proposto contro la sentenza di merito che aveva ritenuto la responsabilità, ex art. 2050 cod. civ., dell’ente gestore di un parco di divertimenti, per le lesioni subite da due persone che avevano preso posto su un “bob”, fuoriuscito dalla pista di discesa, avendo ritenuto una intrinseca pericolosità sia in relazione alla conformazione ed alle curve del tracciato, sia alla velocità del mezzo ed alla sua struttura.
La responsabilità ai sensi dell’art. 2051c.c. e 2043 c.c.
Diversamente, inoltre, dalla responsabilità di cui all’art. 2051, c.c., che sottintende un evento lesivo derivante da una inadeguata custodia della cosa, quella connessa all’esercizio di attività pericolose postula una successione continua e ripetuta di atti che si svolge nel tempo e che dunque rivela una notevole potenzialità di danno in un momento anteriore all’evento dannoso, così da consentire all’operatore la predisposizione di adeguate misure di prevenzione e da costituire il parametro di commisurazione della diligenza dovuta.
Da attività pericolose devono essere, poi, tenute distinte quelle normalmente innocue, che possono diventare pericolose per la condotta di chi la esercita o organizza, o per errori o colpe nell’uso dei mezzi adoperati, e che comportano una (eventuale) responsabilità secondo la regola generale dell’art. 2043 c.c..
In altri termini, nel caso di una condotta pericolosa si tratta di verificare il grado di diligenza o di perizia dell’operatore: diversamente, nel caso di attività pericolosa, dovrà aversi riguardo alla natura della medesima o al grado di efficienza dei mezzi utilizzati.
Il Tribunale di Lucca con sentenza n. 91 del 18.01.2017
Ha ravvisato una responsabilità ex art. 2051c.c. in quanto nella fattispecie l’attore aveva messo i piedi a terra per frenare la velocità della discesa a circa 7 mt. dall’arrivo del percorso della tirolese gigante.
Tale condotta, sebbene le istruzioni impartitegli non fossero nel senso di frenare con i piedi, ma di “muovere le gambe e accompagnare il rallentamento della velocità” in prossimità dell’arrivo, non è tale da escludere la responsabilità ex art. 2051 c.c. della società convenuta, atteso che il movimento che ciascun utente era tenuto ad effettuare avrebbe potuto comportare, ove non perfettamente eseguito – come avvenuto per l’attore – un urto delle gambe con il ceppo presente al suolo in prossimità dell’arrivo.
L’onere della prova
In presenza di attività pericolosa, deriva, poi, che, mentre spetta al danneggiato la prova del fatto storico e del nesso causale tra l’esercizio dell’attività pericolosa ed il danno derivatogli, spetta al danneggiante (ente gestore) provare di aver adottato tutte le cautele necessarie per evitare la caduta.
Non sono a tal fine sufficienti le indicazioni fornite all’entrata del parco (il cd. briefing istruttivo), consistente nell’illustrazione delle attrezzature utilizzate nell’area interessata. Per escludere la presunzione di colpa non è nemmeno sufficiente la prova che l’attrazione – come il resto del parco avventura – fosse fornita dei dispositivi di sicurezza (tra i quali, i cavi di discesa, i moschettoni, ecc.) e che fosse accompagnata da apposita segnaletica.
Ciò infatti non può esimere il personale addetto alla vigilanza del parco dal monitorare gli utenti, affinché essi intraprendano le attività sportive in tutta sicurezza.
La prova di “avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”
Si deve intendere come prova:
– “negativa” , consistente, cioè, nel fatto di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge, regolamentari o di comune diligenza o prudenza
– “positiva” – ovvero di avere impiegato ogni cura o misura atta ad impedire l’evento dannoso, di guisa che anche il fatto del danneggiato o del terzo può produrre effetti liberatori solo se per la sua incidenza e rilevanza sia tale da escludere in modo certo il nesso causale tra l’attività pericolosa e l’evento, e non già quando costituisca elemento concorrente nella produzione del danno, inserendosi in una situazione di pericolo che ne abbia reso possibile l’insorgenza a causa delle inidoneità delle misure preventive adottate.
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Il nesso di causalità
Deve essere “adeguato”, ovvero è necessario che tra l’antecedente (esercizio dell’attività pericolosa) e le conseguenze (danno) vi sia un rapporto di sequenza “costante”, secondo un calcolo di regolarità statistica per cui l’evento appaia come una conseguenza normale dell’antecedente.
Mentre è irrilevante, ai fini dell’esclusione della responsabilità, che il danneggiato non abbia sopperito, con autonome iniziative, alle omissioni imputabili al gestore dell’attività medesima.
L’art. 2050 c. c., infatti, non pone obblighi di diligenza a carico dei terzi estranei alla gestione dell’impresa pericolosa.
In linea generale si devono considerare come attività sportive pericolose tutte quelle attività come lo bungeejumping, il freeclimbing, lo skysurfing, il rafting, e il tree climbing (arrampicata sull’albero), che, per quanto si svolgano in sicurezza (tramite apposita imbragatura), presentano un, più o meno, alto livello intrinseco di pericolosità, e, in quanto tali, devono essere sottoposte a controlli di sicurezza più elevati.