Il transito di genere e la sua evoluzione normativa in Italia: cosa è necessario sapere e come muoversi nel rispetto della propria identità
La Legge 164/1982 sul transito del sesso di nascita
In Italia il transito del sesso è sottoposto all’autorità giudiziaria, la norma di riferimento è quella del 14 aprile 1982, n. 164, che riconosce alla persona transessuale la possibilità di chiedere ed ottenere una modifica del sesso biologico della nascita e riportato nei registri anagrafici.
Secondo la richiamata normativa, la modifica dell’attribuzione sessuale implicava due diversi procedimenti a seguito di ricorso presentato dall’interessato: uno, di natura contenziosa, per ottenere l’autorizzazione agli interventi chirurgici e gli iter di medicina e l’altro, di volontaria giurisdizione, per la richiesta di rettifica dello stato civile.
Le modifiche per la modifica gender apportate dal D. Lgs 150/2011
La Legge 164/1982 è stata modificata dal D. Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, in forza del quale il soggetto intenzionato a sottoporsi ad intervento chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali dovrà adire il tribunale del luogo di residenza, al fine di incardinare una causa ordinaria volta ad ottenere l’autorizzazione all’intervento. L’atto di citazione dovrà essere notificato al Pubblico Ministero e agli eventuali figli e coniuge dell’attore.
Una volta accertato l’avvenuto trattamento di medicina e gli interventi chirurgici per il transito del sesso, il tribunale alla quale il soggetto è ricorso disporrà il cambiamento di stato da annotare presso l’anagrafe civile e conseguentemente si potrà richiedere modifica dei documenti di identità.
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Corte di Cassazione: non necessario sacrificio psicofisico per il riconoscimento del transito di genere
La Corte di Cassazione (sentenza n. 15138/2015) ha dichiarato nel 2015, che non si ritiene necessario l’ intervento chirurgico di demolizione degli organi sessuali ai fini della pronuncia di rettificazione dell’attribuzione del genere.
I magistrati cassazionisti hanno statuito che l’interesse pubblico alla definizione dei generi non può comportare che l’individuo debba essere sottoposto a violenza psicologica per sottoporsi ad un trattamento in tempi non congrui rispetto alla propria sfera di maturazione, implicando così un sacrificio al fine del riconoscimento. Hanno pertanto rimesso al tribunale il compito di verificare se, prescindendo dall’intervento chirurgico, l’interessato abbia già definitivamente assunto una stabilità gender.
Nello stesso anno, inoltre, la Corte Costituzionale ha ribadito con sentenza n. 221/2015, la centralità del ruolo del giudice nel valutare l’opportunità o meno dell’intervento chirurgico, che mai potrà intendersi come conditio sine qua non per poter cambiare i documenti di identità. Nello stesso tempo la stessa autorizzazione all’intervento avverrà da parte del giudice solo ove si dimostri come trattamento a tutela della salute del richiedente.