L’ipnosi: una terapia valida oppure una pratica illecita

L’ipnosi è una tecnica che influisce sulla coscienza o volontà altrui, ma il confine tra terapia e pratica illecita è molto sottile

La normativa

Come tutti sanno, l’ipnosi, anche in modalità regressiva, è una tecnica in grado di influire sulla coscienza e sulla volontà altrui fino addirittura a sopprimerla, determinando quindi un vero e proprio stato di incapacità.

L’invasività di tale tecnica quindi, richiede importanti accortezze sia da parte del professionista, che dovrà tutelarsi adeguatamente in ordine al consenso, sia da parte del soggetto che vi si sottopone, il quale dovrà accertarsi della professionalità e serietà del soggetto cui si rivolge.

Ma cosa dice la legge in merito alla pratica dell’ipnosi?

In tema di ipnosi occorre anzitutto menzionare l’articolo 728 del Codice Penale secondo il quale: Chiunque pone taluno, col suo consenso, in stato di narcosi o d’ipnotismo, o esegue su lui un trattamento che ne sopprima la coscienza o la volontà, è punito, se dal fatto deriva pericolo per l’incolumità della persona, con l’arresto da uno a sei mesi o con l’ammenda da trenta euro a cinquecentosedici euro.

Tale disposizione non si applica se il fatto è commesso, a scopo scientifico o di cura, da chi esercita una professione sanitaria

L’artico 728 c.p. stabilisce, quindi, al secondo comma, una esimente generale per la pratica dell’ipnosi nel caso in cui venga effettuata con le due tassative finalità indicate, cioè a scopo scientifico o terapeutico, e dai soggetti tassativamente indicati, ovvero da chi esercita una professione sanitaria.

In tal caso quindi, qualora dall’ipnosi praticata da un soggetto esercente la professione sanitaria per finalità terapeutiche o scientifiche, dovesse derivare un pericolo per la persona, non si potrà configurare un reato, ma solo, eventualmente, una risarcibilità del danno.

Diversamente, fuori dall’ipotesi di cui al secondo comma, neanche il consenso prestato da colui che si sottopone alla pratica sarà sufficiente a scriminare il responsabile per lo stato di pericolo per l’incolumità della persona.

Occorre inoltre precisare che, laddove l’attività di ipnosi o narcosi venga svolta da soggetti non esercenti una professione sanitaria, si potrà configurare il reato di esercizio abusivo della professione ex art. 348 c.p. nonché, in caso di danno, anche il reato di lesioni ex art. 582 c.p.

La Corte di Cassazione

La Suprema Corte di Cassazione è intervenuta più volte in tema di ipnosi, sia riguardo alle caratteristiche del soggetto esercente la professione sanitaria, sia rispetto all’uso della pratica a scopo terapeutico.

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In particolare, con la sentenza numero 34200 del 20/06/2007 la Corte ha chiarito che per fruire dell’esimente di cui al secondo comma dell’art. 728 c.p. e, quindi, per esercitare lecitamente la pratica dell’ipnosi “occorre l’abilitazione all’esercizio professionale dell’attività medica e l’iscrizione nel relativo albo”.

Inoltre, con la recente sentenza n. 3784/19 la Suprema Corte si è pronunciata in ordine alla qualificazione dellipnosi come terapia.

“Tanto la PNL (programmazione neurolinguistica), quanto l’ipnosi, non costituiscono necessariamente forme di psicoterapia, ma divengono tali se impiegate nell’ambito di un processo psicoterapeutico, con conseguente necessità che chi intende avvalersene sia a ciò legittimato, per aver conseguito i titoli abilitanti ed essere iscritto nei relativi albi professionali”.