La conciliazione in sede sindacale può essere impugnata

Anche la conciliazione in sede sindacale da parte del lavoratore può essere impugnata nel caso di mancata assistenza al lavoratore

conciliazione in sede sindacale

Gli atti di rinuncia e di transazione sottoscritti dal lavoratore ed aventi ad oggetto diritti inderogabili, possono essere da lui impugnati entro il termine di sei mesi decorrenti dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Il lavoratore, pertanto, cessato il rapporto di lavoro, può impugnare entro i sei mesi indicati dal codice civile qualsiasi atto di transazione e di rinuncia da lui sottoscritto durante il rapporto di lavoro, anche se risalente lontano nel tempo.

L’articolo 2113 del codice civile prevede esplicitamente che il lavoratore non può più impugnare i suoi atti di transazione e di rinuncia contenuti nel verbale di conciliazione sottoscritto avanti il tribunale oppure nel verbale di conciliazione sottoscritto avanti l’ufficio provinciale del lavoro o nel verbale di conciliazione sottoscritto in sede sindacale.

L’effettiva assistenza è il requisito fondamentale

Per il combinato disposto degli artt. 2113 c.c. e 410-411 c.p.c., le rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione sindacale, non sono impugnabili ex art. 2113, co. 2-3 c.c., solo a condizione che l’assistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva, consentendo al lavoratore di sapere a quale diritto rinunzia ed in che misura, e, nel caso di transazione, a condizione che dall’atto si evinca la “res dubia” oggetto della lite (in atto o potenziale) e le “reciproche concessioni” in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell’art. 1965 c.c.

Dunue, è di fondamentale importanza il requisito dell’effettività dell’assistenza sindacale. Infatti, la presenza di un semplice sindacalista, appartenente ad una qualsiasi organizzazione sindacale diversa da quella di appartenenza del lavoratore, risulterebbe fittizia. Tale elemento, più volte confermato dalla giurisprudenza di legittimità, è stato sottolineato, recentemente, da una pronuncia della Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 1° aprile 2019, n. 9006, la quale ha stabilito che solo un’effettiva assistenza “può porre il lavoratore in condizione che dall’atto stesso si evincano la questione controversa oggetto della lite e le reciproche concessioni in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell’art. 1965 c.c”. Dunque, la presenza di un sindacalista è ritenuta fondamentale ai fini di un’effettiva tutela della parte debole del rapporto di lavoro la quale è in grado di conoscere, esclusivamente in tal maniera, i diritti a cui sta rinunciando.