Pescare di frodo con esplosivi configura il reato di disastro ambientale

La Cassazione ritiene la configurabilità del reato di disastro ambientale nel caso di pesca di frodo con esplosivi. Vediamo quando pescare di frodo è reato.

pesca di frodo

La tutela

L’ambiente marino costituisce un ecosistema fortemente tutelato dal legislatore e dalla giurisprudenza più recente.

In particolare, la legge n. 68 del 2015 costituisce il fondamento della tutela ambientale in quanto, oltre alla introduzione nel codice penale dei delitti ambientali, ha anche introdotto una serie di altre novità in merito a: bonifica dei siti inquinati, ripristino dello stato dei luoghi, confisca, circostanze aggravanti ambientali, diminuzione di pena per ravvedimento operoso, inasprimento delle sanzioni in caso di commercio di animali e vegetali in via di estinzione.

Anche la giurisprudenza si occupa costantemente di reati ambientali fornendo un importante contributo per la salvaguardia dell’ecosistema.

La sentenza n. 17646 del 2020

Con la sentenza n. 17646 del 2020 la Suprema Corte si è occupata della pesca di frodo con l’impiego di materiale esplodente, nel caso di specie cordite e tritolo.

La pesca con esplosivo è una pratica chiaramente illecita che comporta l’immissione in mare di veri e propri ordigni deflagranti.

L’esplosione di tali ordigni determina la morte della fauna ittica nell’area marina interessata e la successiva risalita a galla del pesce.

Nel caso di specie agli imputati erano stati contestati i delitti di inquinamento ambientale e disastro ambientale ex artt. 452-bis e 452-quater c.p., mentre la difesa sosteneva configurabile solo la contravvenzione di cui all’art. 7 lettere d) ed e) del decreto legislativo n. 4 del 2012 che punisce il danneggiamento delle risorse biologiche delle acque marine con l’uso di materiali esplodenti.

La Suprema Corte di Cassazione, con la citata sentenza, ha evidenziato la diversità della tutela prestata dalla contravvenzione e dal reato.

Infatti, l’articolo 7 del decreto legislativo n. 4/2012 prevede che “al fine di tutelare le risorse biologiche il cui ambiente abituale o naturale di vita sono le acque marine, nonché di prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, è fatto divieto di danneggiare le risorse biologiche delle acque marine con l’uso di materie esplodenti, dell’energia elettrica o di sostanze tossiche atte ad intorpidire, stordire o uccidere i pesci e gli altri organismi acquatici”.

La tutela offerta dal delitto di disastro ambientale ex artt. 452-bis e 452-quater c.p. invece, ha uno scopo ben diverso, cioè la salvaguardia dell’ecosistema nella sua integrità, fornendo quindi una tutela molto più vasta.

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Né risulta necessaria la concreta verifica del disastro ambientale e la sua irreversibilità, essendo sufficiente la relazione tecnico-scientifica da cui si evince che le esplosioni hanno determinato l’alterazione delle caratteristiche dell’acqua, riducendo la penetrazione della luce e rilasciando sostanze tossiche.

Inoltre, le esplosioni subacquee uccidono anche uova e larve, e provocano danni ai fondali coinvolti in quanto l’energia liberata dalle esplosioni danneggia gli habitat rocciosi distruggendo anfratti e cavità utilizzate dalle specie animali.