Minaccia all’insegnante per influenzare il voto: è reato

Per la Cassazione scatta il carcere per chi minaccia un insegnante per condizionarne il giudizio su un alunno

Nell’ordinanza n. 14958/2021, commette reato di violenza o minaccia ai danni di un pubblico ufficiale il soggetto che utilizzando un linguaggio intimidatorio punta a condizionare un insegnante al fine di influenzarne il giudizio nei confronti di un alunno.

La vicenda giudiziale

In primo grado veniva condannato l’imputato per il reato di cui all’art. 336 c.p. “Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale” che postula: “1. Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. 2. La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa.”. L’imputato è così condannato a sei mesi di reclusione. In sede di impugnazione veniva confermata la sentenza.

Ricorso in Cassazione

L’imputato ricorre alla Suprema Corte presentando le seguenti doglianze:

  1. Viene lamentata la motivazione che viene definita lacunosa.
  2. Il giudice nel caso di specie avrebbe dovuto applicare il trattamento sanzionatorio nella misura minima.
  3. La motivazione non risulterebbe esaustiva in relazione alle ragioni per le quali sono state negate le attenuanti generiche.

I giudici di merito avevano accolto come attendibili le dichiarazioni della persona offesa e dei testimoni che hanno potuto riferire le frasi minatorie indirizzate all’insegnante e così ripeterle, individuandone bene il fine: ovvero influenzare e pilotare il voto dello stesso ad un alunno.

Le minacce all’insegnante sono reato

La Cassazione pertanto respinge il ricorso dichiarandolo inammissibile perché finalizzato a ottenere una diversa lettura delle fonti di prova, che sono alla base di una motivazione resa in merito e che è ritenuta dagli Ermellini lineare, coerente, chiara e logica.

Corretto poi il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, alla luce dei precedenti dell’imputato, non potendo così in alcun modo applicare un trattamento sanzionatorio in misura minima.