Lo stato di abbandono ed adottabilità dichiarato nei confronti dei figli che subiscono condotte denigratorie dalla madre
La Cassazione chiarisce con l’ordinanza 23802/2021, quando può essere dichiarato lo stato di abbandono, con conseguente adottabilità dei minori, allorquando la madre abbia come unica linea comunicativa con i figli solo il rimprovero e la recriminazione riguardo ai comportamenti tenuti dagli stessi. Quando la genitrice non si occupa della loro cura quotidiana, non segue con attenzione la salute di un figlio, dimostra di non essere all’altezza di istaurare una relazione comunicativa con il figlio, ed infine non collabora con i servizi sociali ove si sia innescata la necessità, al fine di correggere con un adeguato percorso la patologia del rapporto, può ravvisarsi lo stato di abbandono di un minore.
L’antefatto giudiziale
Il Tribunale dei minori dichiara l’adottabilità di tre per i quali si ravvede il rischio di pregiudizio irreversibile e grave del loro stato psico fisico. I bambini sono stati accolti da una comunità in cui gli operatori hanno relazionato quanto emerso, ossia che la vita dei bambini si svolgesse in un ambiente non tutelante a causa degli atteggiamenti denigratori e frustranti posti in essere dalla madre con continui rimproveri non proporzionati alla struttura psicologica del minore e che dopo un anno dall’inserimento in struttura i minori stavano meglio.
L’ambiente svalutante può configurare stato di abbandono
Quanto emerso già dal giudizio del Tribunale per i minorenni ha evidenziato in particolare l’atteggiamento svalutante della madre, oltre che l’incapacità di ascolto e di cura, soprattutto nei riguardi della bimba affetta da gravi disturbi respiratori. Non risultava inoltre la genitrice collaborativa con le possibilità offerte dal Consultorio familiare che predisponeva gli incontri e non ammetteva le proprie difficoltà nell’esprimere la propria genitorialità. Il padre aveva dimostrato disinteresse totale per i bisogni dei figli e inerzia nei confronti dell’atteggiamento della donna emerso. Non era emerso neanche un assetto famigliare che potesse individuarsi come supporto.
In Appello
Anche in sede di impugnazione veniva confermata pertanto, sulla base proprio delle evidenze emerse, la decisione di primo grado.
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Il ricorso in Cassazione
La madre presenta un ricorso presso la Corte di Cassazione adducendo due motivi:
- nel primo contesta la sentenza della Corte d’Appello legata alla motivazione apparente resa sulla questione della adottabilità dei minori.
- Con un secondo motivo invece lamenta la violazione della normativa interna e internazionale per quanto riguarda l’accertamento della sua capacità genitoriale dal quale era discesa la dichiarazione di adottabilità dei minori.
La Cassazione rigetta il ricorso dopo aver trattato congiuntamente i due motivi .
I giudici sottolineano che nel caso di specie la motivazione non è affatto apparente, come contestato dalla ricorrente. La sentenza è evidentemente motivata dalla sussistenza di un grave pregiudizio per la crescita dei minori, tenendo conto di quanto relazionato dagli operatori della comunità che descrivono la situazione sussistente e l’ambiente di inserimento famigliare come “non tutelante”, come anche dalla psicologa del consultorio e del CTU (ad esempio i bambini non sono stati educati alla cura igienica quotidiana, oltre che vivere costantemente un atteggiamento svalutante della madre nei loro confronti.
Pertanto nel caso di specie le relazioni e i rapporti delle assistenti sociali e degli psicologi costituiscono indizi sui quali il giudice può formare il proprio convincimento, precisando altresì che “ricorre la situazione di abbandono in caso di rifiuto ostinato a collaborare con i servizi predetti qualora, a prescindere dagli intendimenti dei genitori, la vita da loro offerta al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo psico-fisico, cosicché la rescissione del legame familiare risulti infine l’unico strumento che possa evitargli un più grave pregiudizio e assicurargli assistenza e stabilità affettiva.”
Per il secondo motivo si attesta l’impossibilità di trattare in sede di legittimità la questione della capacità genitoriale della madre, per valutare la quale era stata richiesta una consulenza tecnica, perché trattasi di questioni di merito che in sede di legittimità non sono censurabili.
In conclusione
La legge n. 184/1993 fornisce adeguatamente le linee per individuare lo stato di abbandono di un minorenne da parte dei genitori. Le istituzioni pertanto intervengono secondo quanto affermato dalla norma ovvero “che il diritto del minore a crescere ed essere educato nell’ambito della famiglia di origine incontra i suoi limiti in presenza di uno stato di abbandono, che sussiste allorché il contegno dei genitori, lungi dal risolversi in una mera insufficienza dell’apporto indispensabile per lo sviluppo e la formazione della personalità del minore, comprometta o determini grave pericolo di compromissione per la salute e le possibilità di armonico sviluppo fisico e psichico del minore stesso. Di fronte ad un siffatto nocumento o al rischio di esso, successivi atteggiamenti o progetti genitoriali per un miglioramento della situazione in tanto rilevano in quanto, oltre che seri, siano oggettivamente idonei al recupero della situazione medesima.”