Il familiare straniero può chiedere un permesso temporaneo per rimanere in Italia qualora vi siano alcuni presupposti.

Il T.U. d.lgs 286/98 contempla infatti una serie di misure afferenti la condizione giuridica del minore straniero alla cui base sta il principio espresso dall’art. 28, co. 3, secondo cui “ in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all’unità familiare e riguardante i minori deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo”.
Tale principio trova fonte principalmente della Convenzione di New York del 1939 ( e di natura costituzionale ex art. 10 commi 1 e 2) ed impone l’obbligo di sua applicazione sia all’Autorità amministrativa che a quella giudiziaria. Ciò anche qualora venga in considerazione la condizione giuridica dei genitori, in quanto l’interesse del fanciullo si attua, attraverso il trattamento riservato ad essi.
Come avviene?
Tra le molteplici disposizioni del T.U. immigrazione in materia assume importanza quanto disposto dall’art. 31 c. 3 a mente del quale il Tribunale per i Minorenni “può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico qualora sussistano gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova in territorio italiano”.

Cosa dice la Corte di Cassazione?
Nella sentenza n. 21799/10 le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno chiarito l’ambito di applicazione di detta norma, definita “di chiusura del sistema di tutela dei minor stranieri”, componendo il precedente conflitto interpretativo e precisando che la sua applicazione non può essere subordinata all’esistenza di requisiti di eccezionalità e di urgenza, in quanto nei “gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico del minore” può essere compreso “ qualsiasi danno effettivo concreto percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell’età e delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o del suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto.”
LEGGI ANCHE: Adescamento dei minori on line: il fenomeno del child-grooming
In detta pronuncia la Corte ha ribadito la necessità di garantire una forte tutela alla famiglia “anche e soprattutto come luogo privilegiato di sviluppo e di affermazione della personalità del minore ponendolo al centro di un sistema di protezione e fruizione di diritti da esercitarsi nei confronti dei genitori (art. 30) e dei pubblici poteri (art. 31).” Diritti inderogabili ed estesi, in quanto fondamentali, anche agli stranieri.
Nella richiamata pronuncia a S.U. del 2010, dunque, la Corte di Cassazione, superata la tesi dell’eccezionalità, ha fissato i parametri cui affidarsi per accertare l’effettività del danno che il minore subirebbe a causa dell’allontanamento del genitore o che subirebbe dovendo seguire il genitore irregolare di ritorno nel paese di origine.
Tra essi rilevano l’età della figlia minore della ricorrente, il suo stato di salute, l’inserimento ed il radicamento nel tessuto sociale della famiglia.