Il danno da diffamazione va provato da colui che assume di aver ricevuto un pregiudizio a causa di un comportamento illegittimo
Con l’avvento dei social, si sono moltiplicate le richieste di risarcimento del danno derivanti da condotte diffamatorie ma non sempre tale risarcimento viene accordato in quanto, secondo la giurisprudenza maggioritaria, il danno va rigorosamente provato e l’onere della prova spetta a colui che richiede il risarcimento.
Presupposto affinché possa essere riconosciuta la pretesa risarcitoria è, in primo luogo, che la condotta diffamatoria comporti una effettiva lesione dell’onore e del prestigio goduto fra i consociati (Cass. civ., sez. I, 9 giugno 2017, n. 14447) non essendo sufficiente il solo pregiudizio dell’opinione che ciascuno ha di sé.
La condotta asseritamente diffamatoria della persona non va valutata, quindi, quam suis, bensì come effettiva lesione dell’onore e della reputazione di cui la persona goda tra i consociati.
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Il danno all’onore e alla reputazione non diviene, poi, risarcibile in re ipsa (Cass. civ., sez. I, 16 aprile 2018, n. 9385; Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 2017, n. 25420), in quanto la lesione del bene giuridico individuale onore è protetta in sede penale: in sede civile acquisteranno rilievo le conseguenze di tale lesione, ovvero le conseguenze della notizia diffamatoria fra il pubblico e dei comportamenti di questo nei confronti del soggetto leso. Il danno, in altre parole, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento anche se è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche e a presunzioni sulla base di elementi obiettivi che è onere del danneggiato fornire, assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima.