Anche la consulenza legale via WhatsApp, costituisce espressione di prestazione professionale dell’avvocato, pertanto deve essere pagata
Come di norma ogni consulenza professionale, così anche quella ricevuta da un avvocato, prevede che al termine si debba pagare una parcella. La stessa si può conoscere anticipatamente, nel caso tale consulenza rientri in una attività standard. A questa, nel caso la questione sottoposta si dimostri di particolare complessità, oppure per ritenere completa la consulenza, la stessa necessiti di alcune attività preliminari, dovrà aggiungersi una maggiorazione di costo che copra tali attività. Oggi, grazie ai moderni mezzi di comunicazione è possibile accedere a questo servizio anche con tramite tali mezzi, primo fra molti WhatsApp. Spesso tali comunicazioni vengono travisate dal cliente, che erroneamente ritiene che le conversazioni appena richiamate possano essere piuttosto essere inquadrate come “amichevoli aiuti”, o comunque risposte elargite a titolo gratuito e in modalità del tutto informale, solo perché fuoriescono dall’ambiente dello Studio professionale.
Un avvocato può chiedere di essere pagato per una consulenza via WhatsApp?
Avvocato: c’è sempre bisogno del mandato scritto?
Si pensa comunemente che l’avvocato non maturi diritto a percepire onorari finché non si firmi un formale mandato. In realtà, non è proprio così.
Non occorre infatti necessariamente, per procurare un avvocato, la sottoscrizione di un formale mandato: secondo la giurisprudenza, l’effettivo incarico conferito ad un legale si desume anche dall’invio di una semplice email dalla quale si desume chiaramente la volontà di affidare un compito all’avvocato.
Dunque, se la convinzione che l’invio dell’SMS o Whatsapp non sia configurabile come consulenza, è fondata sul fatto che ancora non c’é mandato sottoscritto, è presto smentita da quanto sopra.
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Consulenza avvocato: va pagata?
La consulenza resa dall’avvocato inoltre, va in ogni caso pagata: consiste infatti in un’obbligazione di risultato. Il parere o chiarimento reso dall’avvocato deve essere certo e obiettivo, conforme a legge, anche se dovesse essere sfavorevole al cliente.
Consulenza via WhatsApp: va pagata?
In linea di massima, sì: l’avvocato ha diritto al compenso anche se la consulenza non è resa de visu, ma attraverso diversi sistemi di comunicazione, come la telefonata, il fax, SMS, mail oppure messaggio WhatsApp. Il diritto al pagamento matura infatti a prescindere dal conferimento scritto di un mandato e la consulenza va intesa a tutti gli effetti come una prestazione professionale resa dall’avvocato, qualsiasi sia il mezzo comunicativo utilizzato: vie brevi o più formali che siano.
Consulenza WhatsApp: cosa può fare l’avvocato per essere pagato?
Il legale che ritiene di essere creditore per uno o più pareri rilasciati mediante WhatsApp potrebbe adire il tribunale competente per chiedere l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti del cliente che ne ha beneficiato. Il professionista pertanto allegherà al ricorso per ottenere l’ingiunzione la copia dei messaggi o dei WhatsApp ricevuti, magari procedendo alla trascrizione dei messaggi vocali. La giurisprudenza, infatti, ha ammesso in passato il credito provato dallo scambio di sms tra l’assistito e il proprio avvocato; da tanto si evince la possibilità di fare lo stesso anche per i messaggi WhatsApp. Sono ammessi anche gli screenshot dei messaggi WhatsApp, i quali devono essere ritenuti attendibili fino a motivato disconoscimento di controparte.
L’attendibilità delle conversazioni
La Corte di Cassazione ha riconosciuto pieno valore probatorio agli sms e alle immagini contenute negli mms, ritenute elementi di prova integrabili con altri elementi anche in caso di contestazione, chiarendo peraltro che in caso di disconoscimento della fedeltà del documento all’originale, rientrerebbe nei poteri del Giudice accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni.