Animali e spazio: Per la Cassazione la detenzione di cani all’interno di box chiusi e senza aria costituisce reato
La Cassazione penale, con la sentenza n. 12436/2021 individua come reato di abbandono di animali la detenzione di cani all’interno di box chiusi e umidi a causa dell’assenza del necessario ricambio di aria.
Antefatto giudiziale
Il giudice di primo grado condanna una donna con ammenda di 4000 euro per il reato di abbandono di animali di cui al comma 2 dell’art. 727 c.p per detenzione di animali in condizioni degradanti e incompatibili con la loro natura che causavano all’animale grandi sofferenze.
L’imputata deteneva 32 cani di razza, tenuti rinchiusi in 9 box, del tutto inidonei a garantire un adeguato ricambio d’aria, talmente angusti ed insani da aver provocato varie patologie agli animali, con evidente squilibrio tra animali e spazio.
Il ricorso in Cassazione
La donna propone ricorso in Cassazione, sottolineando che successivamente al sequestro da parte della Procura e del Gruppo Forestale dei Carabinieri, gli animali le siano stati restituiti.
Pertanto su tale base costruirebbe la deduzione dell’evidenza che da parte sua vi fosse assenza di maltrattamento e abbandono. Disconosce inoltre che le patologie dei cani fossero riconducibili alla propria detenzione.
Sostiene che i cani infatti venivano costantemente seguiti da un veterinario, proprio a causa delle patologie riscontrate che erano preesistenti.
La decisione della Corte
La Cassazione però rigetta il ricorso perché del tutto infondato. L’imputata infatti deteneva 32 cani in 9 box chiusi con porte e finestre e che la struttura mostrava “l’aria era carica di umidità e di un forte odore di ammoniaca e inoltre la pavimentazione, intrisa di umidità, era inidonea ad ospitare animali.”
Le dermatiti e l’alopecia diffusa ed avanzata, causati verosimilmente dall’ambiente malsano e dalla mancanza di aria oltre che parassitosi, congiuntiviti, cheratiti e rogna venivano constatate e diagnosticate dal Veterinario incaricato appositamente dall’Asl.
Dal sequestro era pertanto discesa l’accusa di reato ex .727 c.p. “richiamando in tal senso la costante affermazione della giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 52031 del 04/10/2016), secondo cui, in tema di reato di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, previsto dall’art. 727, comma secondo, cod. pen., la grave sofferenza dell’animale, elemento oggettivo della fattispecie, deve essere desunta dalle modalità della custodia che devono essere inconciliabili con la condizione propria dell’animale in situazione di benessere.”
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Si rilevava inoltre correttamente che le patologie diagnosticate erano direttamente riconducibili all’ambiente malsano nel quale erano tenuti gli animali, come per stessa ammissione della donna che correlava le congiuntiviti e le dermatiti all’umidità degli ambienti, poi risolta con l’installazione di alcune bocchette d’aria.
Tuttavia le opere di adeguamento, seppur spontanee non rilevano perché sono solo un “rimedio” grossolano a un atteggiamento malcurante e maltrattante antecedente, seppure positivo e pertanto, seppure postumo, fa si che possano essere riconosciute le attenuanti generiche.