Il reato di evasione: la configurazione, gli elementi e la casistica
L’evasione è disciplinata all’articolo 380 del codice penale:
- Chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade è punito con la reclusione da uno a tre anni.
- La pena è della reclusione da due a cinque anni se il colpevole commette il fatto usando violenza o minaccia verso le persone, ovvero mediante effrazione; ed è da tre a sei anni se la violenza o minaccia è commessa con armi o da più persone riunite.
- Le disposizioni precedenti si applicano anche all’imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento se ne allontani, nonché al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale.
- Quando l’evaso si costituisce in carcere prima della condanna, la pena è diminuita.
Si tratta di un reato che può essere commesso solamente da una persona che sia legalmente arrestata o detenuta, cioè in stato di “custodia”, non potendosi quindi configurare qualora si abbia una mera fuga durante l’arresto.
Tale reato, è più frequentemente commesso mediante la violazione delle misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario, cioè in caso di concessione del regime di semilibertà, di detenzione domiciliare e di affidamento in prova al servizio sociale, piuttosto che da soggetti detenuti presso istituti penitenziari.
La casistica
In riferimento alla detenzione domiciliare, la Cassazione ha chiarito più volte che il sottoposto agli arresti domiciliari che rientri a casa dal lavoro con un breve ritardo rispetto all’orario consentito, risponde del reato di evasione, e non della semplice trasgressione delle prescrizioni ex art. 276 cod. proc. pen.
Inoltre, con una recentissima sentenza del 09.04.21 n. 13432, la Suprema Corte ha confermato ancora una volta il principio secondo cui, l’allontanamento dell’imputato dal luogo degli arresti domiciliari senza autorizzazione, può essere legittimamente desunto dalla sua mancata risposta al suono del citofono.
Nel caso di specie infatti, il controllo della polizia giudiziaria era stato effettuato per un lasso di tempo piuttosto lungo, insistentemente, rumorosamente e anche mediante contatto telefonico, rimasto privo di risposta.
D’altro canto, si precisa che, solitamente, è specificatamente indicato nelle prescrizioni notificate alla persona sottoposta alla misura che la stessa “dovrà assicurare l’effettiva esecuzione del controllo da parte delle forze dell’ordine, mediante l’installazione di idoneo campanello, del quale ha l’onere di garantire l’efficienza, indicando altresì all’Autorità preposta al controllo il numero di utenza telefonica”.
Inoltre, agli effetti dell’art. 385 c.p. deve intendersi per “abitazione” lo spazio fisico delimitato dall’unità abitativa in cui la persona conduce la propria vita domestica, quindi devono essere escluse le aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili che non siano di stretta pertinenza dell’abitazione e non ne costituisca parte integrante, ciò al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell’imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà.
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Per abitazione quindi, devono intendersi anche le aree private di pertinenza dell’abitazione, cioè a suo uso esclusivo, non anche le aree e gli altri spazi condominiali o comuni (22118/15)
Diversamente, non costituisce evasione aggravata ex art. 385, co. 2 c.p. la recisione del braccialetto elettronico, in quanto il braccialetto elettronico serve solo a controllare continuamente la presenza dell’indagato entro il perimetro in cui gli è consentito muoversi.