Assegno al figlio sostituito con elargizioni dirette: cosa dice la Cassazione

Nessun automatismo che stabilisce la ripartizione dei tempi e delle risorse per i minori che godono del regime di condivisione dell’affido

La Corte di Cassazione statuisce con l’ordinanza del 16 giugno 2021 n. 17222 che la regolamentazione dei rapporti dei figli che godono dell’affidamento condiviso tra genitori non più conviventi, con il genitore non collocatario deve essere il risultato di una valutazione del giudice e non il risultato di una ripartizione matematica del tempo a disposizione dei figli stessi da ripartire in parti uguali per ciascun genitore. A tal proposito la Corte ricorda che non debba: “avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori”. Occorre ossia, garantire al minore la situazione di benessere che si pone sempre come interesse superiormente tutelato, considerando il suo diritto a una relazione piena con entrambi i genitori considerando, dall’altro lato, il diritto di questi ultimi a una piena realizzazione della loro relazione con la prole.

I fatti

A seguito della separazione personale dei coniugi, veniva disposto l’affido condiviso del figlio minore della coppia, per la quale la madre viene individuata come collocataria. In sede di impugnazione, viene riformata la decisione dei giudici di prima istanza ritenendo che dovessero essere ampliati i tempi di permanenza del minore con il padre, confermando l’assegnazione della casa coniugale alla madre e rigettando conseguentemente la richiesta di divisione dell’immobile avanzata dall’uomo. L’assegno di mantenimento a favore del figlio veniva ridotto da 450,00 euro a 350,00 euro, così anche quello in sostegno della moglie da 150,00 euro a 100,00 euro. L’uomo veniva tuttavia sanzionato per l’inadempienza agli obblighi di mantenimento statuiti. Questi infatti, aveva cessato di corrispondere l’assegno mensile per il figlio presso la madre,  provvedendo direttamente al mantenimento del figlio. Tuttavia, ed è questa l’orientamento importante da rilevare, per i giudici le “dazioni volontarie” non potevano essere considerate sostitutive dell’assegno dovuto, pertanto l’uomo era considerato inadempiente. A seguito di tale decisione dall’uomo viene pertanto presentato ricorso in Cassazione.

L’affidamento condiviso non implica possibilità di mantenimento diretto

Dinanzi agli Ermellini l’uomo lamenta che la pronuncia in sede di gravame, non abbia dato rilievo al fatto che egli provvedeva al mantenimento diretto del figlio, così come era stao confermato dal minore stesso e dalle prove addotte. In particolare la doglianza riguarda la condanna ex art. 570 c.p., per la quale risultato inadempiente al mantenimento della prole, è stato condannato. La Corte ritiene il ricorso infondato, chiarendo che: “non fa venir meno l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza, rimanendo per converso escluso che l’istituto stesso implichi, come conseguenza “automatica”, che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto ed autonomo, alle predette esigenze […]”.

La decisione della Cassazione

La Corte esclude che l’affidamento condiviso postuli automaticamente che ciascun genitore provveda alle necessità di mantenimento del figlio in maniera diretta. Infatti, secondo la giurisprudenza, sul genitore non collocatario (in questo caso, il padre) grava l’obbligo di mantenimento che è diretto a coprire molteplici esigenze. Pertanto l’obbligo del genitore non afferisce soltanto ai bisogni alimentari, ma l’obbligo si articola connettendosi direttamente: “all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, secondo uno standard di soddisfacimento correlato a quello economico e sociale della famiglia di modo che si possa valutare il tenore di vita corrispondente a quello goduto in precedenza”, come ricordato dalla Corte di cassazione nel 2020 con l’ordinanza n. 16739.

Giudizio sulle precedenti decisioni

La Suprema Corte ritiene che il giudice di merito abbia correttamente applicato i principi di cui sopra, operando una diminuzione dell’importo del mantenimento facendo riferimento al bilanciamento da applicare in relazione alle condizioni economiche delle parti ma tuttavia respingendo la domanda di contribuzione diretta avanzata dal padre.

Nel caso di specie, i pagamenti diretti operati dall’uomo sono stati valutati come espressione della sollecitudine del padre a favore del figlio. Ma non possono essere considerati dal Collegio sostitutivi dell’obbligo di mantenimento che, non si esaurisce nelle necessità coperte dalle elargizioni dirette nel suo complesso rappresentativo. Pertanto si reputa giusta anche la sanzione comminata.

La bigenitorialità non sempre impone la frequentazione paritaria

Il ricorrente lamenta che la pronuncia gravata, pur affermando che vada garantita la bigenitorialità, non abbia ampliato i tempi di visita del padre. A tal proposito, la Corte ricorda che l’affidamento condiviso deve consentire una frequentazione dei genitori paritaria con il figlio, in mancanza di gravi ragioni ostative. Ma può accadere che per ragioni ponderate dal giudice, possa applicarsi una “suddivisione” non meramente matematica ma pienamente idonea alle necessità del minore.

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L’assegnazione della casa familiare e la richiesta di divisione

Circa la suddivisione della casa familiare, i giudici dichiarano che tale ipotesi possa ravvedersi(in ipotesi residuale) solo nei casi in cui l’unità abitativa:

  1. sia del tutto autonoma e distinta da quella destinata ad abitazione della famiglia,
  2. sia agevolmente divisibile
  3. e/o il livello di conflittualità coniugale sia lieve

Il ricorso del padre del minore viene rigettato e, atteso che la madre aveva presentato ricorso incidentale, entrambi i ricorrenti vengono condannati a corrispondere un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso, ove dovuto.